Estate di San Martino: perchè si chiama così e cosa si cucina per tradizione

Uno scampolo di sole e di caldo in pieno autunno: questa è secondo la tradizione l’estate di San Martino, il periodo che coincide con la festività religiosa del Santo che cade il giorno 11 novembre, e che curiosamente sembra sempre portare un pizzico di estate nelle altrimenti grigie giornate novembrine. Ma da cosa deriva questo mito e che tipo di preparazioni culinarie sono a esso collegate? Scopriamolo insieme!

Estate di San Martino, tra leggenda e tendenze meteo

L’estate di San Martino dura tre giorni e un pochinino”, dice un vecchio proverbio, e ne abbiamo avuto conferma anche quest’anno: non solo il giorno 11, ma anche quelli vicini hanno visto un innalzamento delle temperature medie, in forte contrasto con il freddo che aveva fatto capolino agli inizi del mese.

Secondo le spiegazioni più scientifiche, questa è una caratteristica frequente nelle mezze stagioni, in cui il clima è fortemente variabile; dunque, così come la primavera può avere una parentesi fredda (i classici nodi del freddo), anche in autunno non è improbabile un ritorno del caldo.

In particolare, ci sono esperti che hanno spiegato che questa particolare fase di tempo stabile a novembre è quasi sempre esistita, e anche le analisi effettuate su mappe bariche dell’ultimo trentennio hanno confermato che in questo periodo inizia ciclicamente l’espansione dell’anticiclone dalla Spagna verso tutto il Mediterraneo, che determina condizioni di alta pressione, alte temperature e bel tempo, mettendo (almeno per un po’) la maggior parte dell’Europa centrale e occidentale al riparo dalle perturbazioni.

Il fatto però che questa appendice di estate sembri ritornare sempre intorno ai tre giorni della festa di San Martino dipenderebbe, stando alla visione religiosa, a una leggenda che vede protagonista proprio il Santo.

La leggenda di San Martino

Nel rigido inverno del 335, Martino di Tours (all’epoca ancora in “abiti civili”) faceva parte della guardia imperiale dell’esercito romano; nel corso di una ronda ad Amiens, in Gallia, incontrò un mendicante seminudo e, commosso dalla sua sofferenza, decise di dividere in due parti il suo mantello militare (per la precisione, una clamide bianca della guardia imperiale) e di donarne metà al povero mendicante.

Immediatamente il clima cambiò: uscì il sole, la pioggia smise di cadere, si placò il vento e la temperatura divenne improvvisamente più mite. La notte successiva, inoltre, Martino sognò Gesù rivestito proprio della metà della clamide donata al mendicante, che disse presentandolo ai suoi angeli “Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito”. Al suo risveglio, Martino trovò il mantello nuovamente integro (poi conservato come reliquia ed entrata nella collezione di reliquie dei re Merovingi dei Franchi) e decise quindi di dare credito al miracolo, convertendosi alla vita religiosa e diventando nel 371 vescovo di Tours.

Sempre stando al racconto religioso, il gesto del futuro San Martino avrebbe quindi generato una breve interruzione di tre giorni della morsa del freddo, che si ripete ogni anno per commemorare il gesto magnanimo e generoso.

La presenza in altre culture

L’estate di San Martino è celebrata in varie culture europee, in particolare nelle zone francesi e tedesche (dove il Santo operò in vita), ma questa interruzione dal freddo novembrino è in realtà nota e riconosciuta anche in altre tradizioni.

Ad esempio, in Russia questo periodo è chiamato bab’e leto, cioè l’estate delle donne, perché è proprio in questa fase di attenuazione del freddo che le donne dovevano attivarsi per eseguire lavori autunnali come la tessitura e la torcitura dei fili.

In Nord America invece si parla di “Indian Summer”, perché in questo periodo di caldo illusorio che precede il freddo tipico dell’inverno i nativi americani si dedicavano alla raccolta delle scorte invernali, approfittando del tepore per procurarsi granturco a sufficienza da garantire la sopravvivenza fino alla primavera.

San Martino e i proverbi

Anche in Italia il periodo di San Martino ha un fortissimo legame con le tradizioni contadine e ci sono tanti proverbi a confermarlo ed evidenziarlo.

Il più famoso resta probabilmente “A San Martino ogni mosto diventa vino”, che fa riferimento alla storica abitudine di attendere proprio i giorni della festa di San Martino per aprire le botti per il primo assaggio del vino nuovo della vendemmia appena conclusa, accompagnandolo con le castagne.

Di concetto simile sono altri vecchi adagi, che invitano ad avviare particolari attività contadine nel corso di questa estate “fuori tempo” per prepararsi all’inverno, e nello specifico di portare il grano pronto per la macina (“A San Martino il grano va al mulino”) e a recarsi ai campi (“Chi vuol far buon vino, zappi e poti nei giorni di san Martino”).

Non c’entra direttamente la cucina, ma il lavoro dei campi, un altro proverbio che recita “Fare San Martino”: fino a non molti anni fa nelle aree agricole, infatti, era abitudine far terminare tutti i contratti (di lavoro ma anche di affitto o mezzadria) proprio in occasione del giorno 11 novembre, scelto come data cardine in quanto i lavori nei campi erano già terminati ma l’inverno non ancora arrivato. E quindi, in quei giorni si vedevano carri strapieni di ogni masserizia che si spostavano da un podere all’altro, per i “traslochi” di chi aveva una casa in uso e la doveva lasciare libera ai nuovi inquilini.

Cosa si cucina per San Martino: le tradizioni culinarie

La giornata di commemorazione del Santo è particolarmente sentita in Veneto, dove in questi giorni si consuma il tradizionale dolce di San Martino, un biscotto di pasta frolla sagomato per richiamare la forma del Santo a cavallo con spada brandita e mantello sventolante, decorato con glassa di albume e zucchero ricoperta di confetti e caramelle variopinte.

Anche a Palermo il Santo si ricorda con un dolce, i biscotti di San Martino inzuppati nel vino moscato, che hanno forma di pagnottella rotonda e sono preparati con un impasto a cui i semi d’anice o finocchio selvatico conferisce un sapore e un profumo particolari.

San Martino e le oche

San Martino è stato designato come patrono di albergatori, cavalieri, fabbricanti di maioliche, fanteria, forestieri, mendicanti, militari, sarti e sinistrati, ma anche di osti, vendemmiatori, viticoltori (e qui si fa riferimento appunto alla tradizione legata al vino nuovo) e delle oche!

Dietro quest’ultima scelta c’è un’altra leggenda curiosa: si dice infatti che Martino non avesse desiderio di diventare Vescovo perché non ambiva un ruolo di tal prestigio, nonostante le sollecitazioni dei cittadini di Tours e dei dintorni, che lo amavano. E quindi, nel giorno della proclamazione si rifugiò in un capanno per non farsi trovare, ma le oche lì presenti iniziarono a starnazzare, rivelando la sua posizione e spingendolo verso il suo destino.

I piatti a base di oca per San Martino

Questo episodio si ricorda anche a tavola, e ancora oggi in Italia, ma anche in alcune zone della Germania, dell’Austria e della Scandinavia si usa mangiare l’oca come portata principale della giornata di San Martino e non solo.

Ad esempio, in Svezia è tradizione cenare nella sera del 10 novembre, giorno prima della festa, con un menu a base di zuppa a base di brodo, sangue d’oca e spezie, oca e torta di mele. In Svizzera si prepara l’oca ripiena di fette finissime di mele, mentre i tedeschi preferiscono una farcitura a base di mele, artemisia profumata, marroni glassati col miele, uva passita e le stesse interiora dell’uccello; inoltre, da tradizione locale l’oca migliore è quella che proviene dall’Ungheria, che è la patria originaria di San Martino.

In Boemia l’oca diventa non solo il piatto principale del giorno di San Martino, ma anche un mezzo per trarre previsioni per il meteo: se le ossa spolpate sono di colore bianco, l’inverno sarà breve e mite, mentre ossa scure significano pioggia, neve e freddo.

In Italia i pranzi a base d’oca nel periodo di San Martino sono caratteristici soprattutto del Nord, e in particolare di Friuli, Veneto, Lombardia e Romagna. In tutta la pianura padana, ad esempio, è diffusa la ricetta del bottaggio, una variante della tipica casseuola a base di maiale, dove la freschezza e la fragranza della verza attenuano l’intensità del sapore un po’ dolciastro delle carni di oca. In Veneto e in Istria, in alternativa, si mangiano tacchini o fagiani accompagnati dalla polenta di grano saraceno, o ancora lepri cotte in agrodolce o in saor.

Sempre nell’Italia del Nord, storicamente il giorno dopo San Martino – e quindi, il 12 novembre – partiva il digiuno prima del Natale, e quindi la festa di San Martino era il momento per l’ultima “abbuffata” con piatti a base di oca, animale ricco di grasso, tanto che rimane un proverbio veneto che dice “Chi no magna oca a San Martin, no’l fa el becco de un quatrin” (Chi non mangia oca a San Martino non vedrà il becco di un quattrino”.

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