Cibi in via d’estinzione: dobbiamo davvero preoccuparci? Vediamoci chiaro!

Negli Stati Uniti si parla di food insecurity for climate exchange, ovvero di insicurezza alimentare causata dai cambiamenti climatici, mentre da noi si usa più spesso l’espressione cibi in via d’estinzione: non cambia il senso né purtroppo il risultato, ovvero un elenco di alimenti che rischiano di sparire dalle nostre tavole e dal nostro pianeta a causa di vari fattori, collegati innanzitutto all’ambiente e alle nostre sbagliate abitudini alimentari e industriali.

La lista degli alimenti a rischio estinzione

Piccole differenze ci sono anche nell’elencare questi prodotti alimentari: alcuni studi si concentrano su alcune grandi categorie di cibi in via di estinzione, mentre altri esperti si focalizzano su alcune tipicità a rischio, legate a zone specifiche di coltivazione. In questo approfondimento cercheremo di considerare tutte queste tipologie, così da fornire una lista abbastanza completa.

Il cioccolato

Partiamo dal cioccolato: può sembrare incredibile, ma anche un alimento così diffuso è considerato a rischio di estinzione a causa dell’incremento delle temperatura a livello globale e della concomitante penuria di pioggia, che generano effetti tragici sulle piantagioni africane, da cui si ricava la quantità maggiore dei raccolti di fave di cacao.

Per fortuna, le stime degli anni passati sono state leggermente contraddette dalla realtà: il cioccolatiere svizzero Barry Callebaut si azzardò a dire che le scorte di cacao si sarebbero esaurite entro il 2020, ma lo scenario non è certo più confortante. La nuova data pericolosa è infatti il 2030, quando le coltivazioni subiranno un terribile decremento a causa delle condizioni ambientali, secondo le analisi dell’International Center for Tropical Agriculture. Un dato certo è che stiamo già consumando più cioccolato di quanto ne sia prodotto: già nel 2016 abbiamo mangiato 70mila tonnellate di cioccolato in più rispetto a quelle coltivate.

Il caffè

I cambiamenti climatici sono responsabili anche dei problemi legati al caffè: senza una inversione di tendenza, le piante di caffè potrebbero estinguersi entro il 2080 e già attualmente la specie più usata per ricavare i chicchi è sotto minaccia di funghi e parassiti portati dall’aumento delle temperature. Inoltre, l’88% delle aree coltivate a caffè in America Latina rischiano di subire contrazioni e deforestazioni entro il 2050.

Il miele

Ancor più preoccupante la situazione legata al miele: in questo caso, i cattivi comportamenti dell’uomo hanno messo a serio repentaglio la sopravvivenza delle api, il cui numero di esemplari si è drasticamente ridotto nel corso degli anni. Oltre al clima, infatti, gli insetti sono minacciati (se non sterminati) da pesticidi e parassiti utilizzati per favorire le coltivazioni, col risultato che la popolazione mondiale di api si è letteralmente decimata.

Il danno è enorme e non è solo alimentare: il pensiero va immediatamente al rischio di scomparsa dell’ottimo miele, ma in realtà le api sono un elemento centrale per la nostra stessa sopravvivenza e per l’equilibrio dell’ecosistema terrestre, perché garantiscono l’impollinazione e quindi la prosecuzione del ciclo di vita delle piante.

Sciroppo d’acero

Anche un altro alimento tipico da colazione (soprattutto nell’area nordamericana) come lo sciroppo d’acero è messo fortemente a rischio dallo stress causato da cambiamenti climatici, insetti infestanti e piogge acide, che rendono complesso (se non impossibile) il processo di estrazione dello sciroppo.

L’albero di acero da zucchero è molto sensibile al meteo ed è possibile ricavare la linfa solo con temperature sopra allo zero durante il giorno e inferiori nella notte: ora le condizioni climatiche sono inaffidabili e anche il Canada, dove si trovano grandi piantagioni di acero, rischia di vedere incrementi nella colonnina di termometro superiori ai sei gradi nei prossimi anni.

Burro di arachidi

Restiamo nel campo della tipica breakfast americana per segnalare un altro cibo in via di estinzione, il burro di arachidi: in questo caso, il pericolo riguarda le coltivazioni della pianta di arachide, che faticano ad affrontare i sempre crescenti periodi di siccità. Le piantagioni necessitano di almeno 30 pollici di pioggia per sopravvivere, quota che in alcuni periodi dell’anno non è raggiunta neppure lontanamente.

Allo stesso tempo, le arachidi soffrono le ondate di calore che invece sono frequenti negli Stati dell’America del Sud, distruggendo interi raccolti e producendo germogli bruciati o che non crescono. Ma anche un eccesso di pioggia – effetto collaterale di questi problemi – produce problemi alle piante, perché favorisce la formazione di muffe e agenti patogeni.

Grano, mais e riso

In forte pericolo sono le coltivazioni di cereali, che rappresentano un elemento fondamentale per l’alimentazione dell’uomo e sarebbero difficilmente sostituibili: grano, mais e riso sono insieme le colture più vitali per gli esseri umani, pari al 51% dell’apporto calorico in tutto il mondo, ed entro il 2050 la domanda mondiale di tali colture aumenterà ancora del 33%.

Però, temperature oscillanti e meteo imprevedibile influenzano negativamente i campi coltivati e rischiano di provocare una forte diminuzione della produzione, con conseguenze imprevedibili ed emergenziali.

Soia

Ancor più drammatica la situazione della soia, importante fonte di proteine vegetali per l’uomo e per gli animali, ma anche elemento per la produzione di biocarburanti: secondo i ricercatori, senza una significativa riduzioni delle emissioni nell’ambiente le colture di soia potrebbero diminuire del 40% entro il 2100.

Ceci

Un legume piccolo, ma particolarmente assetato: per produrre 250 grammi di ceci servono oltre 200 litri di acqua! La produzione mondiale di questa coltivazione è già calata e si può ipotizzare che continuerà a diminuire nei prossimi anni.

Avocado

I cambiamenti climatici stanno colpendo anche gli alberi da frutto, come gli avocado: alla pianta servono 72 litri di acqua ha per far crescere un solo frutto, e la crescente siccità compromette la salute delle coltivazioni. Inoltre, la crescente domanda mondiale per gli avocado sta portando a una rapida deforestazione delle pinete del Messico Centrale, sostituite appunto da queste piantagioni, con effetti però rischiosi sul medio-lungo periodo.

Banana

La crescita delle banane dipende da un clima moderato e da una fornitura di acqua costante: le crescenti emissioni di gas a effetto serra e le irregolari condizioni meteorologiche e di temperature (con caldi prolungati e improvvise gelate) stanno influenzando il dove, il quando e anche il se si riesce a coltivare le piante.

In aggiunta ci sono i problemi fitosanitari: la banana più diffusa negli Stati Uniti, la Cavendish, è vittima di una malattia chiamata “Tropical Race 4”, che sta spazzando via intere piantagioni.

Fragole, albicocche, ciliegie, pesche, prugne

Pessime notizie anche per una vasta gamma di frutti per noi primaverili, che necessitano di condizioni meteorologiche e temperature abbastanza costanti: le piante di fragole e di drupacee come albicocche, ciliegie, pesche e prugne sono estremamente delicate e il clima pazzo produce forti danni alle colture. La conseguenza al momento sono la riduzione della produzione e l’aumento dei prezzi, ma la preoccupazione è sempre sugli scenari futuri.

Uva e vino

Gli appassionati di vino sono in allerta: uno studio di Nature Climate Change prevede un potenziale calo della produzione di uva da vino di circa l’85% nei prossimi 50 anni negli Stati Uniti, soprattutto in zone della California come Napa Valley o Sonoma Valley che stanno diventando troppo “calde” per coltivare vini premium.

Il problema riguarda anche l’Italia e in particolare il Prosecco: la domanda di questa tipologia di prodotto è cresciuta più dell’offerta (solo gli inglesi ne consumano 40 milioni di litri all’anno) e non è detto che i produttori riescano a sostenere questo passo.

Ad ogni modo, per il vino c’è speranza: gli studiosi invitano i viticoltori a sfruttare e valorizzare le altre varietà di uve da vino, che si possono adattare meglio a resistere ai cambiamenti climatici. Insomma, il vino non è a rischio di estinzione, ma probabilmente dobbiamo abituarci a cambiare i nostri gusti nelle scelte.

I 10 cibi a rischio estinzione secondo Slow Food

Se queste sono le piantagioni esposte ai rischi e ai danni di cambiamenti climatici e altre azioni nocive (anche umane…), in occasione dell’Expo milanese Slow Food aveva già lanciato un allarme su alcuni piatti in via di estinzione che possono scomparire dalle tavole senza una giusta tutela.

In Italia, la lista comprende i ceci neri della Murgia (zona interessata da una crescente industrializzazione che ha eroso i campi coltivati) e l’agnello sambucano del Piemonte (segnalata dalla FAO come razza vulnerabile già venticinque anni fa), ma ci sono altre specialità da tutto il mondo.

La distruzione degli ecosistemi dei laghi del Minnesota negli Stati Uniti ha messo in pericolo il riso selvatico manoomin, mentre il pollo nero d’Alsazia è stato “minacciato” dall’introduzione di razze avicole più produttive, così come è capitato alla vacca Ankole dell’Uganda.

In forte riduzione è la produzione di uvetta in Afghanistan (anche per le vicende geopolitiche del Paese): delle oltre 120 varietà della zona di Herat ne restano appena una quarantina, e in particolare si sta cercando di salvare l’uvetta abjosh, di qualità superiore. Nella Svizzera tedesca, invece, si sta perdendo la tradizione dei fagiolini essiccati (Dörrbohnen), che ora sono importati dalla Cina.

Tecniche complesse e difficoltà di coltivazione e produzione sono gli ostacoli contro cui si stanno scontrando prodotti come il formaggio in grotta di Divle della Turchia, il peperone di Bukovo in Macedonia e il tè don della Corea del Sud: ingredienti eccellenti che sono in via di estinzione e su cui si concentra l’attenzione di Slow Food per la salvaguardia.

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