Snake fruit: proprietà e utilizzo del frutto del serpente

La forma ricorda quella di un fico, mentre il gusto richiama il sapore di un ananas aspro e non particolarmente dolce, ma è sicuramente l’esterno la parte più caratteristica e memorabile: lo snake fruit si chiama così perché ha una buccia di colore bruno-rossiccio che sembra appunto la pelle squamata di un serpente, ma questo è solo uno dei motivi per cui oggi questo frutto orientale sta conquistando l’interesse dei gourmet di tutto il mondo.

Che cos’è lo snake fruit?

Noto anche con il nome scientifico Salacca zalacca o con il più comune termine Salak, lo snake fruit è il frutto di una piccola palma originaria di Giava e Sumatra in Indonesia, ma coltivata oggi anche a Bali, Lombok, Timor, Maluku e Sulawesi.

Il nome “frutto del serpente” dipende dalle sue caratteristiche estetiche ed esteriori, ovvero dalla presenza di una buccia sottile e squamosa, di colorazione che va dal marrone al rossiccio, che ricorda appunto le squame di un serpente.

snake fruit

In generale, lo snake fruit ha all’incirca le dimensioni e la forma di un fico maturo, con l’estremità leggermente appuntita in cima, e al suo interno contiene una polpa soda e croccante composta da lobi di colore chiaro bianco/giallastro, simili a grandi spicchi d’aglio, avvolti da una piccola membrana trasparente; ogni lobo contiene almeno un seme (o più semi) non commestibile, un po’ come avviene con la nostra nespola.

La pianta di salak comprende in realtà una trentina di varietà conosciute, che si differenziano per colore e consistenza della polpa (più o meno soda, più o meno dolce), e alcune tipologie sono considerate più pregiate e ricercate dal punto di vista gastronomico; in particolare, si ritiene che la varietà gula pasir (traducibile con chicchi di zucchero) sia la più dolce, la varietà pondoh balinese quella più profumata e morbida e il salak Bali più croccante

Snake fruit: caratteristiche e proprietà

Dal punto di vista alimentare, il salak è molto succoso e ha un gusto dolce, con un tenue retrogusto aspro e leggermente acidulo: stando a chi lo ha provato, il suo sapore è contemporaneamente dolce e piccante, simile a quello di un ananas non particolarmente dolce oppure al durian, ma la consistenza della polpa e il sapore stesso del frutto variano notevolmente con la varietà, come detto, e in alcuni casi il frutto può lasciare un retrogusto astringente al palato.

Molto interessanti sono anche le caratteristiche nutrizionali dello snake fruit, che si rivela un piccolo scrigno di proprietà e componenti positive; innanzitutto, è interessante scoprire che viene anche chiamato “frutto della memoria” in Indonesia perché si ritiene abbia alti livelli di potassio e pectina, che sono considerati essenziali per la salute e lo sviluppo del cervello.

Più in generale, sono note le sue proprietà antiossidanti ed è rilevante l’apporto di nutrienti vitali per il corpo come proteine, calcio, ferro, potassio, vitamina C, beta carotene, carboidrati, fibre alimentari e composti fenolici. Questa ricchezza di nutrienti rende il salak un frutto molto salutare e benefico, con limitato apporto calorico e carico di grassi: 100 g di dragon fruit danno circa 82 calorie e contengono il 4% di grassi e l’1% di proteine.

Grazie a queste proprietà e caratteristiche, il dragon fruit è un valido alleato contro l’invecchiamento, collabora a mantenere la salute degli occhi e dell’intestino e, in termini più ampi, il suo ricco profilo nutritivo composto da vitamine e minerali vitali aiuta a mantenere le corrette funzioni del corpo.

salak

Come mangiare lo snake fruit

In Indonesia, il salak è comune quanto le mele o le arance dalle nostre parti ed è tradizionalmente mangiato fresco al naturale, eventualmente in aggiunta a una macedonia.

Anzi, è comune vedere persone del posto che mangia un salak raccolto direttamente dall’albero, anche se questa non è un’operazione semplicissima: la pianta infatti è ricoperta da punte acuminate, quindi la raccolta dei frutti richiede abilità e dimestichezza. Dopo aver raccolto un frutto bisogna pizzicarne la punta per iniziare a togliere la pelle e poi sbucciarlo andando in senso opposto a quello delle squame.

Ad ogni modo, non è troppo difficile togliere la buccia squamata, che non è particolarmente dura o resistente: al suo interno, come detto, troviamo gli spicchi di polpa, ricoperti dalla sottile membrana. Secondo alcuni, sarebbe opportuno rimuoverla prima di mangiare il frutto fresco, perché ha un sapore astrigente, mentre altri invece suggeriscono di ingerire il dragon fruit così com’è, perché la pellicola contiene importanti enzimi che possono facilitare la digestione del frutto e, soprattutto, evitare che il consumo causi stitichezza (anche se conviene non esagerare troppo con le quantità!).

Come usare il salak in cucina

In Italia, e più in generale in Europa, il dragon fruit non è ancora pienamente conosciuto e per ora l’unica possibilità di acquisto è rappresentata dallo shopping online.

Ad ogni modo, chi ha comprato e usato questo frutto lo descrive come un interessante alleato in cucina, perché è molto versatile e può essere usato come ingrediente di accompagnamento a preparazioni dolci o salate, preparato essiccato, fritto o caramellato.

Di solito, gli hotel turistici asiatici offrono il dragon fruit nei buffet come esempio di piatto tipico locale, generalmente fresco o bollito in zucchero, servito in salamoia (il salak in salamoia è un popolare dessert indonesiano in cui il frutto è tagliato a cubetti, immerso in un liquido agrodolce e servito freddo nelle calde giornate estive), essiccato sottovuoto o addirittura fritto stile patatine, tagliando la polpa croccante in chips sottilissime da friggere rapidamente.

Possiamo anche preparare una sorta di confettura o chutney di salak da servire in accompagnamento agrodolce a salumi e formaggi, o semplicemente aggiungere il frutto fresco a insalate e macedonie, e ancora usare il dragon fruit come ingrediente di torte, frullati e succhi di frutta. Quando le specie più dolci e succose raggiungono il massimo grado di maturazione, con il salak è possibile anche produrre aceto e vino, piuttosto famosi nei Paesi d’origine.

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