Per i napoletani si chiama pasta ammescata, cioè mischiata, mentre in italiano la forma corretta è pasta mista: in entrambi i casi, il nome dice già tutto, perché ci spiega che siamo davanti a un formato di pasta composto da vari formati e tipi di pasta, per l’appunto mescolata insieme quasi alla rinfusa, proprio come si faceva una volta per recuperare gli avanzi senza sprechi. Data la sua composizione, la pasta mista si presta a tantissime preparazioni in casa e negli ultimi anni anche grandi chef l’hanno introdotta nei loro menu: ecco tutto ciò che abbiamo scoperto!
La storia della pasta mischiata
Tutti i nomi della pasta mista rimandano all’origine pratica di questo speciale formato di pasta, ricavato storicamente da “scarti” di altre tipologie di pasta (penne e spaghetti, ma non solo): pasta mischiata, pasta ammescata, mescafrancesca (termine napoletano per indicare un’accozzaglia di cose alla rinfusa) o menuzzaglia (minutaglia, perché composta di frammenti di pasta rotta) rimandano tutte alle origini di questa pratica di recupero creativo in cucina.
La pasta mista è l’icona di una vera e propria filosofia, quella dell’evitare sprechi di ogni tipo: se oggi sappiamo che questa è una necessità da vari punti di vista (ambientale, sociale ed economico, soprattutto), nei secoli scorsi era un fattore cruciale per la sopravvivenza stessa, non essendoci mezzi sufficienti per potersi permettere di gettare materie prime ancora riutilizzabili in altre forme.
E così, le donne di una volta – a Napoli e in tutto il Meridione – sceglievano saggiamente di non gettare eventuali rimasugli di pasta non più sufficienti a garantire un piatto per tutta la famiglia, ma li mettevano da parte fino a raggiungere la quantità necessaria, unendo anche formati differenti.
Pasta mista, esempio di cucina del recupero
Ci sono varie leggende legate alla nascita della tradizione della pasta mista, che comunque sembra essere certamente di origine napoletana, come rivelato appunto anche dal nome mescafrancesca.
A questo proposito, in particolare, alcune teorie individuano la nascita della pratica di riunire più formati avanzati di pasta per recuperarli nel periodo dell’occupazione napoleonica: non potendo permettersi la pasta “normale”, le persone povere di soldi ma non di ingegno ne cercavano gli avanzi sul fondo dei sacchi dei nobili e li usavano per preparare zuppe e minestre di legumi. E quindi, mesca francesca significherebbe proprio “mescolanza francese” da questa abitudine, poi tramandata fino ai giorni nostri.
Secondo altri studiosi, invece, l’espressione mescafrancesca era usata in senso ironico per sbeffeggiare le ricette francesi o ricordava il nome di un’antica battaglia medievale.
Quel che è certo, però, è che poi anche i bottegai iniziarono a raccogliere i frantumi avanzati di pasta – che nei secoli scorsi era prodotta e venduta sfusa – per venderli a prezzo ridotto all’interno dei “cuoppi”, il foglio di carta avvolto a forma di cono. Oltre agli avanzi di vari tipi di pasta, nel cuoppo finivano anche le “schegge” degli ziti spezzati a mano e le cosiddette “curve” della pasta lunga.
Questa pratica si è diffusa anche a livello domestico, con le massaie che raccoglievano tutto ciò che potevano sembrare semplici scarti di paste varie per sfruttarli, tutti insieme “alla rinfusa”, in nuove e golose preparazioni.
Com’è fatta la pasta mista
E quindi, da queste motivazioni “pratiche” nasce un prodotto speciale, un formato di pasta proveniente da formati differenti, sia tipo lungo spezzato che corto: la pasta mista unisce spaghetti spezzati, tubetti, maltagliati, ma anche rimasugli di vermicelli, ziti, bucatini, ditalini, fusilli, sedanini e, nelle versioni più moderne, farfalle e conchiglie.
Da questa fusione tra formati di pasta di consistenza, lunghezza e a volte anche tempi di cottura differenti nasce l’ingrediente centrale di tantissimi piatti della tradizione partenopea, da utilizzare per le principali minestre a base di verdure e legumi – che a Napoli si chiamano semplicemente “pasta e…” e sono molto meno brodose rispetto a quanto si prepara in altre parti d’Italia – o da far sposare con un mix di formaggi
Quando usare la pasta mista
Tra gli esempi più celebri di utilizzo di tale guazzabuglio di formati diversi, che somigliano ad una composizione pittorica, ricordiamo la pasta mista con legumi cotti, la pasta e patate con la provola, ma anche sformati al forno o frittate di pasta (anche in chiave vegana).
La pasta mista si può usare quando abbiamo voglia di provare un piatto che abbia una pasta versatile e curiosa, diverso dal solito, giocando sulle differenti consistenze: dal punto di vista pratico, non ci sono particolari indicazioni di cottura e, al massimo, dobbiamo solo ricordarci di “far riposare” la pietanza prima di iniziare a mangiarla, in modo che tutti gli ingredienti si possano amalgamare e fondere in maniera armonica.
È questo il segreto che sta dietro a piatti della tradizione napoletana come pasta mista con fagioli, pasta e patate o pasta mista con cavolfiore, che sono poveri forse negli ingredienti, ma sicuramente ricchi di storia, tradizione e soprattutto di gusto! In particolare, si dice che la pasta mista voglia le patate, i legumi, il cavolfiore, la zucca, come appunto nelle ricette appena citate, che diventano dei veri e propri comfort food.
Le ricette stellate con la pasta mista
Oggi la pasta mista è sempre più nota e diffusa, e praticamente ogni azienda produttrice di pasta propone la sua versione.
A testimoniare la sua centralità, però, è soprattutto l’utilizzo nelle cucine dell’alta ristorazione, sulla spinta di quanto proposto negli anni passati da due grandi chef come Gennaro Esposito e Nino Di Costanzo, autori rispettivamente di una minestra di pasta mista e pesci di scoglio e di una rivisitazione in chiave “gourmet” della classica pasta e patate. Due esempi di come sia possibile recuperare abitudini e usanze della tradizione povera e, grazie alle tecniche sopraffine, dar vita a prodotti ingegnosi e di qualità superiore.