Vinitaly 2022: si riparte alla grande

Una buona annata, almeno dal punto di vista qualitativo e delle vendite, ma le prospettive sono critiche a causa delle inevitabili conseguenze della situazione mondiale e, in particolare, del conflitto in Ucraina. Il settore del vino italiano, uno dei patrimoni del made in Italy, si mette in mostra sul prestigioso palco di Vinitaly, la storica fiera di Verona che si è chiusa proprio ieri: ecco le notizie principali che arrivano da questa kermesse.

Vinitaly 2022, i numeri e i risultati

Si è chiuso quindi il sipario sull’edizione numero 54 di Vinitaly, che ha animato gli spazi di Veronafiere dal 10 al 13 aprile, coinvolgendo 700 top buyer da 50 diversi Paesi e 4.400 espositori provenienti da 19 nazioni: finalmente in presenza dopo due anni di stop, anche se con le inevitabili misure di sicurezza e contingentamento degli ingressi per garantire il distanziamento interpersonale (in particolare, con il protocollo “safetybusiness” che ha permesso di creare un ambiente con i più alti standard di sicurezza, anche attraverso una rete intelligente di 400 telecamere per individuare in tempo reale eventuali assembramenti e monitorare il corretto utilizzo delle mascherine), la kermesse ha confermato l’interesse e l’attenzione che c’è nei confronti del vino italiano.

E questo tesoro del made in Italy è stato al centro di oltre 30 convegni e 76 super-degustazioni in programma, ospitati all’interno dei 17 padiglioni in cui si è articolato il salone internazionale dei vini e dei distillati; quest’anno, inoltre, hanno debuttato anche l’area Orange wine, dedicata al “quarto colore del vino”; “MicroMegaWines – Micro Size, Mega Quality”, la nuova sezione riservata alle produzioni di nicchia a tiratura limitata e di altissima qualità; Organic Hall, che implementa l’offerta di Vinitaly Bio, e la sezione Mixology che ha mostrato ufficialmente il proprio format.

La salute del vino italiano

Uno degli appuntamenti più interessanti è stato il focus “Stress Test: il vino italiano alla prova congiunturale”, presentato  Vinitaly con Prometeia, Banco Bpm, Unione Italiana Vini (Uiv) e Federvini, che prova a fare il punto sulla salute del comparto enoico italiano.

Il 2021 si è chiuso con un “rimbalzo trionfale“: l’Italia è tornata a essere il maggior produttore di vino al mondo con una quota del 18,5%, grazie a 130 mila imprese agricole, oltre 45.600 aziende vinificatrici e 1,3 milioni di addetti, e il vino è diventato il primo prodotto del made in Italy alimentare e risponde al 22% della domanda globale.

Eppure, il futuro del settore non è altrettanto roseo a causa dei fattori congiunturali attuali: in particolare, l’aumento dei costi delle materie prime e il calo dei consumi voluttuari (legati anche al calo di fiducia dei consumatori causato dalla guerra) potrebbero portare a un piccolo “segno meno” a fine anno. Per la precisione, la previsione di Paolo Castelletti, segretario generale Unione Italiana Vini (Uiv), è che “il vino italiano subirà quest’anno una contrazione del proprio fatturato del 2,5%-3% a causa del combinato disposto di fattori congiunturali che con la guerra hanno subito un’ulteriore accelerazione”.

Preoccupazione è stata espressa anche da Ettore Prandini, presidente della Coldiretti, che ha provato a evidenziare l’impatto concreto del conflitto in Ucraina sulla vita quotidiana delle aziende vitivinicole, che si è tradotto (finora) nell’incremento del 35% dei costi per il vino italiano (ovvero, in termini assoluti, in media 6886 euro in più a carico delle imprese del vino secondo l’analisi Coldiretti su dati Crea), derivanti dagli aumenti unilaterali da parte dei fornitori di imballaggi (che pesano sui bilanci per oltre un miliardo di euro), incrementi dei costi per le bottiglie di vetro (30% in più rispetto allo scorso anno) e per i tappi (20% in più per quelli di sughero e 40% in più per quelli di altri materiali). E poi, è aumentato il prezzo delle gabbiette per i tappi degli spumanti (+ 20%), così come quelli per le etichette e i cartoni di imballaggio (rispettivamente più 35% e 45%), e ci sono problemi anche per l’acquisto di macchinari, “soprattutto quelli in acciaio, prevalenti nelle cantine, per i quali è diventato impossibile persino avere dei preventivi”, così come hanno subito rincari il trasporto su gomma (più 25%) e i costi di container e noli marittimi, con aumenti che vanno dal 400% al 1000%.

La situazione di difficoltà si evidenzia anche dal trend delle vendite: solo 3 cantine italiane su 100 dichiarano di aver registrato più vendite rispetto all’anno scorso, mentre per il 55% il volume si è contratto, e per oltre quattro cantine su dieci è diminuito anche il valore delle esportazioni e il dato delle spedizioni verso l’estero, altro effetto collaterale delle tensioni commerciali legate al conflitto.

I segnali positivi per il vino

Per fortuna, nel corso della kermesse veronese c’è stato anche spazio per alcune buone notizie sulla salute del vino italiano.

È sempre Coldiretti a rivelare una tendenza in atto nei consumi in volume in Italia, dove i wine lover stanno riscoprendo i vini autoctoni: la top ten delle bottiglie che hanno fatto registrare il maggior incremento, infatti, vede il dominio di produzioni patriottiche, con il Lugana lombardo che in un anno aumenta le vendite del 34%, davanti ai veneti Amarone (+32%) e Valpolicella Ripasso (+26%). Appena fuori dal podio, al quarto e quinto posto, ci sono il Nebbiolo piemontese (+22%) e il Vermentino della Sardegna (+22%), davanti alla Ribolla del Friuli Venezia Giulia (+19%), al Sagrantino dell’Umbria (+16%) e alla Passerina marchigiana (+14%), con Brunello di Montalcino della Toscana e Grillo di Sicilia a chiudere la top ten, entrambi con una crescita del 13%.

Più in generale, il 2021 è stato un anno da record storico per il vino italiano, che ha raggiunto un fatturato di quasi 13 miliardi grazie al balzo dell’export e all’aumento in valore dei consumi interni. Aspetto importante, il panorama enoico italiano è largamente improntato alla qualità: per il 70% le bottiglie Made in Italy sono composte da marchi Docg, Doc e Igt, con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 76 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt), e solo il restante 30% sono vini da tavola.

A produrre vino di qualità sono anche i giovani: diffusi sul territorio italiano ci sono infatti oltre 5.500 under 35 che possiedono una vigna, la coltivazione più diffusa nelle aziende condotte appunto da giovani, che aiutano a innovare il settore introducendo temi quali attenzione verso la sostenibilità ambientale, nuove politiche di marketing, anche attraverso l’utilizzo dei social, e miglioramento del rapporto con i consumatori.

Vinitaly 2022, gli appuntamenti più interessanti

Oltre ai numeri, Vinitaly 2022 è stata soprattutto l’occasione per gustare alcune delle grandi produzioni nazionali e per guardare da vicino la straordinaria palette cromatica del comparto enologico italiano: Coldiretti, ad esempio, ha allestito un’esclusiva mostra/viaggio all’interno della progressiva gradazione di colori dei grandi bianchi, rosati e rossi nazionali. Un percorso che è la dimostrazione del ricco patrimonio di biodiversità su cui può contare l’Italia, e che va dal Giallo scarico tendente al verdolino che caratterizza il Soave Classico Doc al rosa tenue che distingue il Cirò Rosato Doc, dal rosso rubino scarico del Barbaresco Docg al rosso porpora del Chianti Docg, dal rosso granato del Brunello di Montalcino Docg al giallo dorato brillante della Falanghina del Sannio Doc.

Grande attesa c’era anche per il tasting Tre Bicchieri del Gambero Rosso, che ormai è uno degli appuntamenti cult nel giorno di inaugurazione della Fiera; sempre il Gambero Rosso ha curato anche la redazione della guida Oli d’Italia, giunta alla 12esima edizione e presentata sul palcoscenico parallelo di Sol – Vinitaly.

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