Acquafrescaio, l’antico mestiere napoletano che ancora resiste

Napoli è una delle capitali italiane (se non mondiali) dello street food, con una storia antichissima di cibo da strada, dalla pizza a portafoglio e dalle fritture fino a ‘o pere e ‘o musso, da mangiare assolutamente almeno una volta nella vita: ma nella città partenopea resiste ancora un’altra tradizione del passato che può completare l’esperienza gastronomica. Parliamo della presenza dei chioschi di acquafrescaio, lo storico acquaiolo napoletano che propone la vendita diretta di bevande, tra cui la mitica limonata a cosce aperte.

Chi è l’acquaiolo a Napoli

Acquaiuolo o acquafrescaio è il nome che storicamente a Napoli veniva assegnato al venditore ambulante di bevande e, come si può facilmente intuire, di acqua, declinata in tante varianti: apprezzatissimi soprattutto d’estate, avevano il compito di rinfrescare il popolo dall’arsura e dal calore in epoche in cui non c’erano le moderne soluzioni tecnologiche.

Già nell’Ottocento era comune vedere le strade napoletane popolate da questi ambulanti, che giravano con i loro carretti pieni di anfore di acqua, ma anche limoni e arance per premute al volo (che l’acquaiolo preparava usando lo speciale spremiagrumi artigianale fatto di cucchiai che portava alla cinta): gli acquafrescai si promuovevano a voce, segnalando la propria presenza alle persone del quartiere che, direttamente dalla finestra o dal balcone di casa, calava il celeberrimo paniere con un fiaschetto da riempire con l’acqua desiderata e le monete per pagare il dovuto.

L’acquafrescaio, un mestiere antico che sopravvive nelle strade di Napoli

L’acquaiolo ambulante è stato un mestiere piuttosto diffuso in città almeno fino al 1973, anno in cui scoppia la terribile epidemia di colera che porta a contromisure drastiche per migliorare la salubrità dell’alimentazione della popolazione, tra cui la chiusura delle fonti di acqua sulfurea a Napoli; ancora oggi, però, in occasione di grandi eventi all’aperto o delle partite di calcio allo stadio oggi chiamato Diego Armando Maradona è possibile individuare degli eredi di acquaioli, ovvero dei venditori ambulanti (e spesso abusivi) di acqua e bevande per contrastare il caldo, che girano con grandi bacinelle di plastica in cui mettono lattine e bottigline raffreddate da grosse lastre di ghiaccio.

A portare avanti la vera tradizione dell’acquafrescaio storico sono però le “banche dell’acqua“, veri e propri punti vendita stabili, posizionati  agli angoli delle strade più trafficate già dai secoli scorsi: si tratta solitamente di un chiosco di piccole dimensioni originariamente aperto da un acquaiolo che aveva abbandonato la vendita ambulante, e che classicamente si tramandava di padre in figlio e di generazione in generazione, fino ai giorni nostri.

A caratterizzare questi chioschi, che sorgevano in ogni angolo della città, è la decorazione esterna, fatta solitamente con foglie verdi e agrumi freschi, con le anfore in terracotta in bella vista. Col tempo, le banche dell’acqua degli acquafrescai si sono evolute in più moderni chioschi o sono state soppiantate da chalet che hanno esteso la vendita ad altri prodotti, ma per il centro storico di Napoli ci sono ancora degli acquaioli che tengono viva la tradizione, come vedremo.

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Cosa vendevano gli acquaioli a Napoli

Acquaioli e acquafrescai napoletani erano riusciti a trovare soluzioni ingegnose per diversificare la propria offerta commerciale, e oltre alla semplice acqua fresca vendevano vari prodotti passati alla storia.

È il caso della acqua ‘e mummere: le mummere sono anfore di creta a due manici, sigillate con tappi in sughero, che servivano da contenitori per l’acqua zurfegna o suffregna, ovvero l’acqua dal sapore ferroso di origine vulcanica che sgorgava in vari punti della città ed era originaria di una fonte del Monte Echia, nella zona di Santa Lucia. Uno dei punti di raccolta di quest’acqua carica di sali minerali era all’altezza delle stalle del Palazzo Reale, aperto al pubblico nel 1850 dal re Ferdinando II, che fece costruire un pozzo e diede vita al commercio dell’acqua ferrata nelle mummarelle, che permettevano di mantenere l’acqua fresca per 12 ore e di venderla in giro per la città (o trasportarla ai vari banchi cittadini senza alterarne le proprietà). Come detto, le sorgenti in città sono state chiuse nel 1973, per poi essere ripristinate nel 2000 (apertura di quattro fontanelle in via Filangieri), ma dal 2003 sono state chiuse e completamente abbandonate.

Tra gli altri prodotti venduti dagli acquaioli ricordiamo l’acqua termale di Telese (cittadina in provincia di Benevento dove insistono sorgenti di acqua sulfurea); l’acqua addirosa, aromatizzata solitamente al profumo di vino; l’acqua annevata, ovvero rinfrescata grazie alla neve (per la verità, blocchi di ghiaccio aggiunti alle botti in cui veniva conservata); e poi ancora l’acqua appannata che serviva per fare le polpette, l’acqua di rose per fare la pastiera, l’acqua di mare o l’acqua di fiume che servivano a usi diversi, e poi premute d’arancia e, ancora, granite o premute di limone.

La limonata a cosce aperte

Un’altra invenzione speciale degli acquafrescai fu la cosiddetta limonata a cosce aperte o sarchiapone, una bevanda digestiva da consumare rispettando un rigoroso rituale: si tratta di un bicchiere di acqua frizzante con succo di mezzo limone della Costiera a cui viene aggiunta, all’ultimo momento prima del consumo, la punta di un cucchiaino di bicarbonato.

La reazione chimica tra l’acidità del limone e l’alcalinità del bicarbonato genera un effetto vulcano, che fa sviluppare una schiuma che straborda dal bicchiere e rischia di inondare il bevitore. Per questo motivo, la persona fa istintivamente un passo indietro, porta il bacino in avanti e allarga le gambe per non bagnarsi le scarpe, e questo movimento ha dato vita al nome fintamente innocente.

Non ci sono certezze su chi e quando abbia inventato la limonata a cosce aperte, ma alcune fonti testimoniano che tale tradizione era già consolidata nel Settecento e serviva come digestivo dopo i tipici pasti luculliani partenopei, diffondendosi successivamente anche come sistema per controbilanciare l’odore sulfureo e il retrogusto ferroso dell’acqua ‘e mummere (allora usata al posto della moderna acqua frizzante) grazie all’aggiunta aromatica dei profumatissimi e succosi agrumi spremuti.

I modi di dire napoletani sugli acquafrescai

La consolidata tradizione di acquaioli, acquafrescai e banche dell’acqua a Napoli è evidente anche in tantissimi modi di dire del dialetto partenopeo, che si conservano ancora oggi nel parlato.

“Acquaio’, l’acqua è fresca?” – “Manco ‘a neve!”. Questo scambio di battute tra un acquaiolo e un potenziale acquirente è diventato un modo di dire (oltre che il verso di una canzone di James Senese) che invita le persone a non fare domande troppo retoriche e, soprattutto, a diffidare dalle informazioni fornite dai diretti interessati (soprattutto alle vendite). In pratica, al cliente che gli chiede se l’acqua che propone sia fresca, l’acquaiolo risponde che è addirittura più fredda della neve, una evidente esagerazione dal sapore pubblicitario.

Altri due modi di dire sono incentrati sulla “banca dell’acqua” e, in entrambi i casi, fanno riferimento a un fraintendimento di fondo. In una espressione molto diffusa (e molto volgare) si parla dell’errore di chi confonde i genitali maschili con il chiosco dell’acquafrescaio, sia in termini di cantonata che di cattiva interpretazione del momento o dell’evento.

Meno osé la seconda frase, che invece recita “piglia’ ‘a banca ‘e ll’acqua p”o carro ‘e Piererotta“, ovvero confondere il banco della mescita dell’acqua con il carro della storica festa di Piedigrotta, commettendo quindi un altro, madornale errore (per quanto ornato e abbellito, il piccolo chiosco non poteva mai raggiungere l’imponenza di un carro della festa di Piedigrotta).

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Gli acquafrescai a Napoli: i chioschi che resistono ancora oggi

Come per tanti altri residui del passato, a Napoli è ancora possibile scorgere tracce dello storico mestiere dell’acquaiolo nei chioschi moderni che sono attivi e aperti, proponendo (più o meno) le stesse bevande dell’antichità.

Il giro tra i migliori chioschi di Napoli inizia dalle vicinanze di Piazza Garibaldi, dove troviamo Lello Delle Granite (in via Casanova) e lo Chalet Del Sole, specializzati anche nelle granite, di frutta o con gusti golosi e stravaganti. Un altro regno di golosità è Chiquitos, uno chalet sul golfo di Napoli a Mergellina, che da anni è sinonimo di frullati o macedonie di frutta fresca; sempre sul lungomare, poi, non è raro imbattersi in chioschi ambulanti, dove gustare anche i taralli ‘nzogna e pepe.

Non distante, alla Riviera di Chiaia, di fronte all’ambasciata americana, troviamo il Chiosco di Aurelio, che propone la sua versione moderna dell’antico mestiere dell’acquafrescaio. Risalendo per via Chiaia ci si imbatte in Oasi Chiaia dal 1902, che mantiene uno spirito piuttosto legato alla tradizione, e poi si arriva in Piazza Trieste e Trento, dove continua a resistere il chiosco più antico di Napoli, aperto sin dal 1863. Si tratta di Acquafrescaio addu Popo’, gestito da Carolina Guerra e suo fratello Antonio (detto Popò), ed è uno dei migliori modi per avvicinarsi a quella che poteva essere l’esperienza di consumo nei secoli passati.

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