Nel linguaggio quotidiano, il termine “ciofeca” assume decisamente una connotazione negativa. Nell’accezione più comune si abbina in particolare a un caffè di scarsa qualità, sulla scia dell’espressione comune in differenti film di Totò, che era solito appunto definire “ciofeca” un caffè per lui imbevibile, arrabbiandosi e sputando la bevanda. In realtà, l’etimologia della parola non è del tutto chiara e probabilmente la ciofeca era una bevanda indipendente e con una sua dignità: cerchiamo di scoprire tutto!
Che cosa significa ciofeca?
La parola ciofeca è entrata a pieno titolo nel lessico popolare italiano, specialmente nel Sud, e viene utilizzata per descrivere qualcosa che è lontano dall’essere apprezzabile, di scarsa qualità, che non soddisfa le aspettative o che si rivela un vero e proprio fallimento.
La parola ha una sonorità quasi onomatopeica, che sembra quasi suggerire il disgusto o la delusione che si prova di fronte a qualcosa di mediocre: inizialmente, come detto, era legata al mondo del caffè ed evocava in modo icastico l’immagine di una bevanda che, pur cercando di imitare l’espresso, finisce per essere un succedaneo realizzato con ingredienti come orzo, fave o carciofi, che ne compromettono irrimediabilmente sapore e qualità. Questa bevanda, quindi, che poteva al massimo vantare ricordare vagamente il caffè per colore e odore, era in realtà un liquido imbevibile, una sorta di insulto alla cultura caffettiera italiana, meritevole pertanto del trattamento che Totò le riservava.
Per estensione, e grazie appunto al largo utilizzo nei film del celebre attore comico napoletano (che ripete questa “scena” in almeno tre differenti pellicole, a cominciare da Totò a Colori del 1952 fino a I due colonnelli del 1962), ciofeca si è poi abbinato anche a un oggetto, un alimento o persino un’abilità personale che risulti appunto di scarsa qualità e deludente, come un dolce mal riuscito, un elettrodomestico difettoso o una prestazione sportiva imbarazzante. In questo senso, una “vera ciofeca” può riferirsi anche a una persona priva di capacità o valore, sottolineando come il termine abbia assunto una valenza ironica, ma spesso amaramente veritiera, per descrivere un insuccesso in vari ambiti della vita quotidiana.
Etimologia e storia del termine ciofeca
L’etimologia del termine ciofeca è avvolta in un velo di incertezza, con diverse teorie che tentano di tracciare le sue origini, che parrebbero comunque portarci indietro nel tempo, fino alle radici della lingua italiana.
Una prima interpretazione fa riferimento alla lingua greca, dove kakós significava “cattivo”, e phégo (o phago) significava invece “mangiare”, sottolineando quindi un legame originario con il cibo di cattiva qualità; altri si soffermano sempre sul greco, ma sul termine kofos, che evocava l’idea di qualcosa di insipido e privo di freschezza, attributi che si addicono perfettamente a un caffè annacquato o di pessima qualità.
Altre ipotesi guardano invece verso l’Oriente, suggerendo che ciofeca possa derivare dall’arabo sciafèk o šafaq – termini che si riferiscono a una bevanda poco energica, ma anche a qualcosa di scadente o poco piacevole da bere – rispecchiando la tradizione napoletana di accogliere parole con radici orientali.
Nella sua definizione, la Treccani descrive la ciofeca come una bevanda dal sapore cattivo, ma non “sceglie” una spiegazione etimologica definitiva, citando l’ipotesi dello spagnolo chufa, che significa mandorla usata per fare orzata, senza però addentrarsi in ulteriori dettagli. Alcune interpretazioni meno convenzionali associano il termine a ingredienti come orzo, fave e carciofo, utilizzati storicamente come succedanei del caffè, ma questa connessione non trova un fondamento solido nelle ricerche etimologiche.
Insomma, anche lo studio sull’etimologia del termine ciofeca… è stato una ciofeca, inteso come “qualcosa di esito deludente”.
La vera ciofeca: la bevanda storica calabrese
In realtà, negli ultimi anni è emersa un’altra storia della ciofeca, che ci porta nello specifico in Calabria e ristabilisce la dignità di questa bevanda.
Come rilevato ad esempio da Munchies, infatti, ciofeca identifica anche una bevanda storica e di nicchia, ancora oggi consumata in alcune zone del Sud Italia, come appunto la Calabria, ed era addirittura antenata del caffè – e non un suo succedaneo. In tal senso, l’etimologia corretta sarebbe proprio quella araba, e quindi safek che significa “bevanda poco energetica”, un’eredità linguistica lasciata dagli Arabi che giunsero in Calabria intorno all’anno Mille.
Carmine Lupia, esperto della materia, racconta che la ciofeca era bevuta principalmente in Calabria, ma anche in Basilicata, Puglia, Sicilia e talvolta in Campania. Documenti storici attestano la presenza di questa bevanda anche a Varese e in Emilia Romagna, dove si scambiavano ghiande a questo scopo. La ciofeca era una bevanda quotidiana, diffusa almeno dal 1300, molto prima che il caffè diventasse la bevanda principale in Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Questo drink tradizionale, che ha radici profonde nella cultura calabrese e che è ancora reperibile in piccole realtà, si preparava tostando e polverizzando ghiande, in un processo simile a quello del caffè, per poi infonderle in una sorta di moka. Il risultato era una bevanda dal sapore che ricordava l’orzo e il caffè, salutare e ricca di polifenoli, con un colore praticamente identico a quello del caffè.
La ciofeca calabrese non era una semplice bevanda, ma seguiva rituali specifici, aveva gusti distinti e regole proprie: a seconda della varietà di ghianda utilizzata – di sughero, leccio, roverella o altre – si ottenevano infusi con sfumature di sapore diverse, che potevano essere gustati come monorigine o come blend di diverse tipologie.
Le analogie con il caffè non finiscono qui: una leggenda narra che la ciofeca di ghiande sia nata quando un allevatore di maiali calabrese, dopo aver percorso un sentiero con ghiande bruciate mangiate dai suoi maiali, scoprì le proprietà stimolanti di queste ultime – un racconto è sorprendentemente simile alla leggenda etiope sulla scoperta del caffè.
Insomma: secondo questa ricostruzione la ciofeca non è una ciofeca, ma una tradizione italiana che nel tempo si è “diluita”.