I primi mesi di questo 2017 sono stati segnati dalla polemica a distanza tra i pizzaioli campani di due generazioni differenti: da un lato la vecchia guardia, capeggiata da Enzo Coccia de La Notizia, dall’altro i nuovi protagonisti della scena. Motivo del contendere? Il modo di creare la pizza, e soprattutto le sue dimensioni al piatto (oltre che la terminologia).
La polemica sulla pizza a canotto
A scaldare gli animi è stato un post su Facebook di Daniel Young, critico culinario inglese che già lo scorso anno aveva creato grandi dibattiti intorno alla sua “classifica” delle pizzerie migliori al mondo (in cui le campane non facevano una bella figura); nelle scorse settimane, Young ha riportato alcune presunte dichiarazioni di Enzo Coccia, il titolare de La Notizia a Napoli, che esprimeva pareri ben poco lusinghieri sulla pizza a canotto.
Le parole di Enzo Coccia de La Notizia
Per la precisione, nel corso di una conversazione privata con il critico lo storico pizzaiolo napoletano avrebbe definito “una stronzata” (bullshit) la pizza a canotto, ovvero la tipologia di preparazione e lievitazione dell’impasto che sta caratterizzando la nuova generazione di artisti della pizza in Campania. Apriti cielo!
La battaglia generazionale delle pizze
Ma addentriamoci nella spiegazione di questa querelle: il punto di partenza è la rivoluzione generazionale che nel mondo della pizza è stata avviata negli ultimi cinque o sei anni, quando i giovani pizzaioli, soprattutto della zona casertana, hanno iniziato a differenziarsi dal tradizionale canone di creazione della pizza. Ovvero, hanno cominciato a fare delle pizze che presentavano un cornicione alto e morbido e un diametro più ristretto, definite appunto “pizze a canotto”.
Che cos’è la pizza a canotto?
Secondo il trend attuale, la pizza canotto potrebbe essere identificata con una taglia M rispetto al diametro del piatto storico (quindi, all’incirca 33 centimetri, senza raggiungere il margine del piatto), con un disco sottile e un cornicione come detto molto caratteristico, alto fin oltre i 3 centimetri, che al taglio si presenta alveolato e pieno di caverne e lascia al palato un senso di morbidezza e scioglievolezza, definito anche “nuvola”.
Come si realizza la pizza a canotto
Dal punto di vista tecnico, non c’è nessun “miracolo” particolare: il cornicione morbido a canotto deriva dall’abilità del pizzaiolo di manipolare il panetto di pasta spostando l’aria dal centro verso l’esterno del disco, creando uno spazio più delimitato per contenere gli ingredienti successivi. Insomma, non c’è aggiunta di pane, ma di aria: merito anche di impasti più idratati, lasciati lievitare con lentezza e a lungo, a volte fino a 48 ore.
Le caratteristiche della pizza a canotto
L’altro aspetto caratteristico della pizza canotto è nella “filosofia”: la nuova generazione di pizzaiolo ha infatti quasi eletto a bandiera questa tipologia, applicandovi lo studio delle farine e degli impasti che caratterizza l’attenzione dei nuovi protagonisti della scena, con scarso “rispetto” delle indicazioni del disciplinare STG o delle ricette tradizionali imposte dalle associazioni dei pizzaiuoli napoletani.
La tradizione della pizza napoletana
È da questo contesto che nasce allora la polemica prima descritta, che può essere riportata nella classica lotta tra “nuovo” e “tradizione”: contro il canotto, infatti, si schiera tutta la larghissima platea dei pizzaioli classici (spesso napoletani) che invece continuano a proporre dischi più sottili e di dimensioni a volte strabordanti, ben oltre il diametro del piatto di servizio.
La spiegazione di Coccia
Come detto, a prendere le difese della classica pizza è stato Enzo Coccia, uno dei decani del settore a Napoli, che sembra essere finito al centro delle polemiche in qualche modo suo malgrado: come spiegato dalle pagine del suo sito personale, le sue parole sarebbero state mal interpretate da Daniel Young (che non parla italiano, così come Coccia non parla inglese). In sintesi, a Enzo Coccia non piacerebbe la definizione stessa “a canotto”, ma non la tipologia in sé.
Le dimensioni della pizza a Napoli
Anzi, il pizzaiolo ricorda che “la pizza napoletana è da sempre rappresentata da più stili di stesura”, sottolineando come dal punto di vista storico da sempre nei quartieri nella città di Napoli si facevano pizze con stili differenti: al Vomero e alcuni ristoranti-pizzerie si preparava ” una pizza con il cornicione alto e di diametro inferiore”, mentre “nei quartieri popolari (Mercato Pendino, quartieri spagnoli, San Lorenzo Vicaria, Porto, etc) per dare l’impressione di realizzare una pizza più grande allo stesso costo si tendeva a stendere l’impasto finché il disco risultasse soffice e sottile”. Le pizze del primo gruppo erano definite in gergo “doppi’ ‘e past” o “a rot’ ‘e carrett”, mentre le altre “fin e scorz” o “fin e past” (ovvero, nel primo caso “di doppia pasta” e “a ruota di carro” – per le dimensioni grandi – e di scorza o di pasta fine).
Le migliori pizze a canotto in Campania
Tutto questo parlare di pizza vi ha fatto venire la voglia di gustarne una, magari proprio a canotto? Ecco allora alcuni consigli sul dove mangiare un’ottima pizza a canotto: partiamo proprio dalla provincia casertana, dove opera innanzitutto uno dei pionieri di questa tipologia (ora in verità un po’ messa in secondo piano), ovvero Franco Pepe di Pepe in Grani, unanimemente riconosciuto come uno dei migliori pizzaioli della Campania (e del mondo). Gli altri nomi forti della pizza a canotto sono Carlo Sammarco (nella sua Pizzeria Carlo Sammarco 2.0 ad Aversa), Francesco Martucci (I Masanielli a Caserta), Pasqualino Rossi ad Alvignano e Salvatore Lionello a Orta di Atella; nel napoletano invece troviamo Diego Vitagliano a Pozzuoli, Gaetano Giglio ad Acerra e Salvatore Impero all’Eat to eat a Cardito.