Tra le mille sfumature che può offrire un vino, ce n’è una inconfondibile, che si percepisce più con la bocca che con il naso: è quella sensazione di asciutto, quasi ruvido, che lascia la lingua “allappata” e le gengive lievemente contratte. Se ti è mai capitato di mangiare un carciofo crudo o della frutta ancora acerba, conosci bene quella sensazione: ecco, nel vino, il responsabile è il tannino.
Il tannino è una componente fondamentale, soprattutto nei vini rossi strutturati, e rappresenta uno degli elementi che ne determinano corpo, carattere e longevità. Non è solo una questione di gusto: il tannino ha un ruolo chimico importante nell’equilibrio e nell’evoluzione del vino nel tempo.
Cosa sono i tannini
I tannini appartengono alla famiglia dei polifenoli: si tratta di sostanze di origine vegetale naturalmente presenti nella vite, in particolare nella buccia dell’uva, nei vinaccioli (i semi) e nei raspi (i gambi del grappolo). A differenza di aromi e profumi, non hanno odore, ma agiscono sul gusto e soprattutto sulla sensazione tattile: conferiscono quella astringenza tipica, che asciuga la bocca e tende a inibire temporaneamente la produzione di saliva.
In un vino giovane, i tannini possono risultare spigolosi, ruvidi, talvolta anche aggressivi. È il motivo per cui certi rossi giovani danno la sensazione di “tirare” la bocca già dal primo sorso. Con il tempo, però, questi tannini si evolvono e si trasformano. Grazie a un processo naturale chiamato polimerizzazione, si legano tra loro e formano molecole più grandi e stabili, meno amare, più morbide e setose. Ecco perché, in molti casi, il tempo gioca a favore di un vino: non solo ne affina il profilo aromatico, ma ammorbidisce l’impronta tannica, rendendola più elegante e rotonda.
Come e quando i tannini entrano nel vino
I tannini, come abbiamo visto, sono già presenti in natura all’interno dell’uva: si trovano nella buccia, nei vinaccioli e nei raspi. Tuttavia, non basta che siano lì: per diventare parte integrante del vino, devono essere estratti nel modo giusto, ed è durante la vinificazione che entrano davvero in gioco. In particolare, sono due i momenti chiave in cui i tannini passano dalla materia prima al bicchiere: la macerazione e la maturazione.
Tutto comincia subito dopo la vendemmia. Una volta raccolti i grappoli, il produttore deve decidere come gestire le componenti solide dell’uva – bucce, semi e raspi – e in che misura lasciarle a contatto con il mosto. È questa la fase di macerazione, un momento cruciale in cui il succo d’uva appena ottenuto inizia il suo percorso verso la trasformazione in vino. Durante questo periodo, che può durare pochi giorni o diverse settimane a seconda del tipo di vino che si vuole ottenere, il mosto resta a contatto con le bucce e i vinaccioli, e da esse estrae colore, profumi e, appunto, tannini.
In alcuni casi, se i raspi sono ben maturi e non troppo legnosi, il produttore può decidere di includerli nella macerazione. Questa scelta comporta una maggiore estrazione tannica e può conferire al vino una struttura più marcata, ma anche una certa rusticità, se non ben gestita. La selezione accurata delle parti da lasciare in contatto con il mosto è quindi fondamentale per definire l’equilibrio finale del vino.
Ma l’interazione con i tannini non si esaurisce qui. Anche nella fase di maturazione – quella che segue la fermentazione e precede l’imbottigliamento – i tannini continuano a giocare un ruolo importante. In questa fase, il vino si stabilizza, si affina e comincia a delineare in modo più preciso il proprio profilo aromatico e gustativo. Se il vino matura in acciaio o cemento, i tannini presenti saranno esclusivamente quelli estratti dall’uva. Ma se invece viene affinato in botti di legno, ecco che entra in scena un’altra fonte di tannini: proprio il legno della botte.
Le botti, infatti, rilasciano tannini ellagici, che si aggiungono a quelli già presenti e contribuiscono alla complessità del vino, sia sul piano aromatico che tattile. La quantità e il tipo di tannini ceduti dal legno dipendono da numerosi fattori: il tipo di legno scelto (come rovere francese o americano), il grado di tostatura interna, la dimensione della botte e perfino la sua età. Una botte nuova, ad esempio, rilascerà molti più tannini rispetto a una già utilizzata da diversi anni.
In sintesi, i tannini non sono solo una caratteristica intrinseca dell’uva, ma anche il frutto di decisioni precise in cantina, che ogni produttore calibra in base allo stile e alla personalità del vino che intende creare.
Cosa fanno i tannini nel vino e perché sono così importanti
I tannini non si limitano a dare un’impronta gustativa: svolgono una funzione molto più ampia e complessa all’interno della struttura del vino. Innanzitutto, sono i principali responsabili della sensazione di astringenza, quella tipica secchezza che si percepisce in bocca dopo un sorso di vino rosso. Questo effetto si verifica perché i tannini, una volta ingeriti, si legano alle proteine della saliva, alterandone la consistenza e riducendo la sensazione di lubrificazione. È lo stesso tipo di reazione che si sperimenta con certi frutti acerbi o con alcuni ortaggi crudi: una percezione tattile, più che un gusto, che lascia la bocca asciutta e leggermente rugosa.
Ma il loro ruolo non finisce qui. I tannini contribuiscono in modo significativo anche alla struttura complessiva del vino. Più è alta la loro presenza, più il vino avrà corpo, spessore, personalità. Non a caso, molti dei grandi rossi da invecchiamento sono anche vini ad alta concentrazione tannica. Questo perché i tannini svolgono anche una funzione protettiva e antiossidante: agiscono come una sorta di scudo naturale contro l’ossigeno, rallentando l’ossidazione e permettendo al vino di evolvere più lentamente nel tempo. È proprio grazie a loro che certi vini possono essere dimenticati in cantina per anni, acquisendo profondità, eleganza e finezza.
Con il passare del tempo, inoltre, i tannini si trasformano. Da giovani possono risultare pungenti e a volte sgraziati, ma con l’invecchiamento si polimerizzano e si ammorbidiscono, donando al vino una tessitura più vellutata e armonica. È in questa fase che il vino tannico rivela tutto il suo potenziale.
I vini più ricchi di tannini: quali sono e perché
I vini che esprimono al meglio la forza dei tannini sono, senza sorpresa, i vini rossi. Le uve a bacca rossa contengono infatti una maggiore quantità di tannini, soprattutto nelle bucce e nei vinaccioli, e – a differenza dei bianchi – durante la vinificazione restano a lungo a contatto con le parti solide dell’acino. Questo processo, chiamato macerazione, è fondamentale per l’estrazione della componente tannica.
I vini bianchi, invece, seguono un processo differente: il mosto viene separato quasi subito dalle bucce, e dunque non subisce quell’estrazione prolungata che caratterizza i rossi. È per questo che raramente un bianco può dirsi tannico, se non in alcuni casi particolari (come certi orange wines).
Tra i rossi italiani più ricchi di tannini, ce ne sono alcuni che spiccano per potenza e longevità. Il Sagrantino di Montefalco, ad esempio, è spesso citato tra i vini più tannici al mondo: potente, deciso, astringente, ha bisogno di molti anni per trovare equilibrio. Poi ci sono i grandi vini del Piemonte, come il Barolo e il Barbaresco, entrambi ottenuti da uve Nebbiolo, che si distinguono per l’elevata struttura tannica e la loro capacità di invecchiare per decenni. Infine, spostandoci nel sud Italia, troviamo l’Aglianico di Taurasi, spesso soprannominato il “Barolo del Sud” per la sua eleganza austera e la sua trama tannica fitta e profonda.
Tutti questi vini richiedono pazienza, ma sono capaci di raccontare – nel tempo – una storia complessa, fatta di trasformazioni lente e sorprendenti.






