Alimentazione sostenibile: cosa possiamo fare noi e da dove iniziare?

È un approccio che invita a considerare gli effetti sul pianeta di ciò che mangiamo e ad apportare opportuni cambiamenti per proteggere non solo la Terra, ma anche la nostra salute e il benessere delle generazioni future: l’alimentazione sostenibile è un tema cruciale oggi, e con la nostra guida cercheremo di capire cosa significa esattamente, quali sono i suoi principi, quali i cibi sostenibili e quali invece gli alimenti che pesano di più sull’ecosistema.

Che cos’è l’alimentazione sostenibile?

Negli ultimi anni il termine sostenibilità è diventato molto comune, usato (e spesso abusato) in molti contesti diversi, al punto da perdere un po’ il suo significato e il suo peso; tornando alle origini, sostenibilità significa essenzialmente soddisfare i propri bisogni senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni, e in particolare senza intaccare le risorse naturali della Terra.

Ad esempio, nella nostra vita quotidiana possiamo compiere azioni sostenibili come separare i rifiuti per riciclare vetro, plastica, carta e rifiuti organici, fare shopping con borse riutilizzabili, preferire i trasporti pubblici o mezzi a basso impatto come le biciclette o auto elettriche o ibride, e così via. Ma anche ciò che mangiamo ha un effetto planetario, perché interessa la terraferma, il mare, e poi anche la nostra salute e il benessere delle generazioni a venire.

Passando all’ambito food, quindi, sostenibilità alimentare è qualcosa che va al di là del solo cibo stesso: è una combinazione di fattori, come il modo in cui gli alimenti sono prodotti, distribuiti, confezionati e consumati. Ancora di più, la sostenibilità di un cibo prende in considerazione l’utilizzo delle risorse, l’impatto ambientale e l’agricoltura animale, così come le considerazioni sulla salute e sull’impatto sociale ed economico.

Per comprendere questo approccio – teorico, ma anche molto pratico – possiamo far affidamento alla celeberrima espressione di Barry Commoner (uno dei padri fondatori del movimento ecologista globale) “Nessun pasto è gratis”: ogni cosa che mangiamo ha un impatto più o meno marcato sull’ambiente, perché la sua produzione richiede diversi input (energia, acqua, suolo, fertilizzanti, mangimi) e genera altrettanti output (in particolare come forme di inquinamento, da gas clima-alteranti come CO2, metano, protossido di azoto a fanghi reflui).

Sostenibilità alimentare, le responsabilità di ognuno di noi

A noi sta quindi comprendere e valutare il costo dei nostri pasti: solitamente le decisioni alimentari si basano su convenienza, gusto e prezzo, ma se vogliamo vivere in modo più rispettoso del pianeta dobbiamo compiere scelte informate, orientate appunto alla sostenibilità, privilegiando cibi e comportamenti green e provando ad abbandonare invece gli alimenti non sostenibili.

Il primo step è capire bene ciò che rende sostenibile un alimento e una dieta: in estrema sintesi, le caratteristiche determinanti sono una produzione che protegge l’ambiente e un basso impatto sulla biodiversità, sugli ecosistemi e sulle risorse naturali. In modo più generale, una dieta sostenibile dovrebbe anche essere adeguata dal punto di vista nutrizionale, sicura, sana, culturalmente accettabile ed economicamente accessibile.

Un’altra modifica ai nostri comportamenti potrebbe essere quella di privilegiare cibo biologico, che per filosofia (e per legge) rispetta e tutela maggiormente la natura, fare attenzione alle stagionalità dei prodotti e affidarsi a realtà locali e tradizionali: quest’ultimo punto, in particolare, ha valenza doppia, perché significa valorizzare il lavoro dell’agricoltore e al tempo stesso ridurre i costi di logistica, stoccaggio, trasporto e conservazione degli alimenti.

Queste azioni ci fanno comprendere cosa implica una cultura alimentare sostenibile, che si fonda almeno sulla riduzione degli sprechi e sull’attenta selezione dei prodotti e dei fornitori.

Quali sono i principi di un’alimentazione sostenibile?

Allarghiamo però l’analisi su questo importante tema per capire in breve quali sono i principi di un’alimentazione sostenibile e quali le parole chiave da tenere a mente per cambiare comportamenti e adottare questo approccio.

Tutto si basa sull’idea che il cibo sia una leva potente per migliorare la salute umana e degli ecosistemi: attraverso le nostre scelte, personali e globali, possiamo quindi lanciare degli input rilevanti per modificare i sistemi alimentari, dalla produzione al consumo, e renderli più inclusivi, più sani e più sostenibili, adatti alle reali necessità umane e ai limiti del nostro pianeta. Possiamo sintetizzare, quindi, che le scelte che facciamo a tavola ha un impatto diretto sul futuro dell’umanità e della Terra.

Secondo i fautori di questo approccio, e in particolare il progetto Food4Future della WWF, la sostenibilità alimentare deve perseguire 4 obiettivi:

  • Grow better – Coltiva sostenibile
  • Fish better – Pesca sostenibilmente
  • Eat better – Mangia sostenibile
  • Use better – Riduci gli sprechi alimentari

In concreto, ciò significa adottare azioni consapevoli in tutto il processo che porta il cibo sulle nostre tavole, e quindi curare anche la fase di acquisto. Come dicevamo, è più sostenibile favorire i cibi del territorio, perché ciò permette di ridurre le emissioni di CO2 limitando i chilometri del trasporto, ma anche aumentare la capacità produttiva della zona di terra in cui viviamo.

Altre due parole chiave sono stagionalità e biodiversità: se sul primo fronte dovremmo essere già informati (i prodotti di stagione sono più nutrienti, saporiti ed “ecologici” di quelli provenienti da coltivazioni forzate e spesso geograficamente lontane), biodiversità significa imparare a “sfruttare” il più possibile ciò che un territorio offre, inserendo ingredienti diversi e vari nella nostra dieta senza stressare l’ecosistema.

A ciò si lega anche il concetto di riduzione degli sprechi, soprattutto perché, come sappiamo, lo spreco alimentare è un vero e proprio dramma che porta alla dispersione di tonnellate di alimenti ogni anno, mentre in ultimo la sostenibilità alimentare invita a ridurre il consumo di pesca e allevamenti intensivi, che sono un vero disastro per il Pianeta. Ciò non significa rinunciare del tutto a pesce e carne, vedremo, ma anche in questo caso a preferire piccoli allevatori sostenibili e pescatori locali e, sul fronte dieta, ad aumentare il consumo di vegetali.

Perché è importante seguire un’alimentazione sostenibile?

Adottare un approccio sostenibile, anche nel nostro piccolo, può avere un impatto rilevante sul pianeta: può sembrare un’esagerazione, ma basta conoscere gli effetti (negativi) delle vecchie pratiche per renderci conto della necessità di cambiare strada.

Partiamo da un dato: il sistema produttivo alimentare è responsabile di circa un quarto delle emissioni di gas serra del pianeta (e la soglia arriva al 37% se consideriamo tutti processi di trattamento e trasporto dei prodotti alimentari), e la responsabilità quasi totalità di questo inquinamento dipende dall’Occidente industrializzato, considerando che una larga fetta di mondo vive al di sotto della soglia di povertà e non ha accesso alle risorse alimentari.

Il mondo infatti è spaccato in due (in modo molto disequilibrato): circa il 10 per cento della popolazione mondiale soffre la fame, circa il 30 per cento vive una situazione di insicurezza alimentare moderata o grave e quasi la metà non può permettersi una dieta sana, ma dall’altro lato c’è una fetta di persone (tra cui noi) che si è assuefatta al consumo massivo di cibi ultraprocessati e piatti precotti, causa principale della distruzione ambientale.

Guardando ai soli Stati Uniti, ad esempio, agli inizi del Novecento la popolazione statunitense aveva una dieta composta per lo più da vegetali, che apportavano circa due terzi del totale delle proteine al giorno, con la parte residuale rappresentata dalle carni animali; meno di un secolo dopo, nel 1985, questaa statistica si è invertita, e più di due terzi delle proteine ​​provengono da animali, principalmente bovini da carne, che consumano fino a otto libbre di grano per produrre un chilo di carne e rilasciano tonnellate di gas serra nel processo, mentre i loro grassi saturi e calorie contribuiscono pesantemente all’incremento dell’incidenza di malattie croniche.

Proprio la produzione intensiva di carne è considerata una delle principali responsabili del cambiamento climatico, e secondo gli ultimi studi le diete attualmente dominanti dell’umanità non fanno bene a noi e non fanno bene al pianeta. Ma non c’è solo la “carne” tra i problemi dell’attuale sistema alimentare, che non è sostenibile e danneggia l’ambiente, minacciando anche la salute, l’istruzione, l’economia, la sicurezza e la pace.

In questi anni abbiamo spinto i processi del sistema-Terra oltre i “limiti planetari”, ovvero soglie biofisiche impostare per assicurare l’equilibrio dell’ecosistema terrestre: in particolare, anche a causa dell’insostenibilità del sistema alimentare, abbiamo valicato le demarcazioni pericolose per la perdita di biodiversità (estinzione di specie ed ecosistemi terrestri e marini), cambiamento d’uso del suolo (abbiamo sfruttato per l’agricoltura e l’allevamento più del 40% delle terre emerse, ma continua la deforestazione mondiale per creare coltivazioni, pascoli e piantagioni), cambiamento climatico (legato anche ai gas serra) e alterazione dei cicli biogeochimici (in particolare dei flussi di azoto e fosforo, visto che, rispetto agli anni ’60, oggi si consumano dieci volte più fertilizzanti minerali, che inquinano i corsi d’acqua e sconvolgono le aree marine costiere).

Non va meglio poi con altri limiti, sempre interconnessi, come consumo di acqua dolce e inquinamento chimico, per un risultato complessivo che possiamo sintetizzare in incombente minaccia alla salute dell’uomo e degli ecosistemi.

È il momento di agire e ognuno di noi è chiamato a dare il proprio contributo: governi e istituzioni devono procedere con interventi concreti per ripensare i sistemi di produzione in quest’ottica, mentre nel privato noi possiamo adottare una dieta sostenibile per iniziare a dare una svolta al sistema, scegliendo abitudini alimentari che concorrono a una maggiore tutela della salute personale, alla salvaguardia dell’ambiente, alla riduzione della filiera produttiva, al rispetto dei lavoratori e al risparmio economico.

Quali sono i cibi sostenibili?

In concreto, ciò può significare provare a impostare una dieta con meno quantitativi di carne e grassi saturi, con nutrienti bilanciati e senza cibi eccessivamente raffinati, preferendo invece una cucina ricca di cereali e vegetali. Possiamo essere protagonisti del cambiamento con un’alimentazione sostenibile, che non significa usare solo cibi biologici o diventare tutti vegetariani o vegani, ma rispettare principi di conservazione della biodiversità e dell’ecosistema nel suo complesso.

Ancora più nello specifico, serve sapere quali sono le azioni di base per diventare sostenibili nel nostro piccolo e quali quindi i cibi sostenibili: si comincia ovviamente da alimenti di origine vegetale, che sono il pilastro delle diete sane ma anche di quelle più sostenibili per l’ambiente, e pertanto via libera a frutta, verdura e ortaggi, con i legumi come prima fonte di proteine.

Anche l’olio di oliva è un alimento sostenibile – facendo comunque attenzione ai metodi con cui lo reperiamo, perché quelli industriali potrebbero essere prodotti all’estero e quindi avere maggior impatto su inquinamento e trasporto – ed è una rilevante fonte di grasso per la dieta.

Sono “promossi” anche pane e cereali, soprattutto integrali, patate, legumi, frutta a guscio e semi, ma con alcune accortezze.

Qual è il cibo meno sostenibile?

Di tutt’altro segno la seguente lista, che invece comprende i cibi meno sostenibili, dal maggior impatto ambientale e quindi meno consigliati per le nostre diete.

Il primo nome non può che essere la carne rossa di produzione industriale – mentre carne di maiale e pollame fanno meglio alla salute e meno dannosi per la terra. Attenzione però anche al pesce: a fronte delle innegabili proprietà nutritive, infatti, ci sono specie che rischiano di essere dannose per l’ambiente, come il salmone d’allevamento o il tonno rosso (anche perché la pesca intensiva del passato ha portato all’estinzione o quasi di molte specie di pesci, la cui sparizione può avere un impatto sull’intera catena alimentare e sull’ecosistema marino).

Ovviamente è su questa “lista nera” anche l’acqua minerale in bottiglia, che segue un complesso processo produttivo e provoca problemi per lo smaltimento delle plastiche, così come lo zucchero raffinato, anche per le conseguenze sulla salute.

E poi ci sono alcuni alimenti vegetali “insospettabili” che si rilevano scarsamente sostenibili a causa delle peculiarità del loro processo di coltivazione o trasporto verso i mercati: il mais, ad esempio, richiede un elevato livello di utilizzo di fertilizzanti nella sua diffusa monocoltura; l’avocado ha bisogno di ampie estensioni di terra e acqua (e spesso arriva da Paesi tropicali); la soia necessita di un uso estensivo del suolo (spesso da Paesi lontani), e così pure il caffè e il cioccolato.

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