Sono noti con la denominazione grani antichi, ma in realtà secondo gli esperti l’aggettivo ha più un valore commerciale che “storico”, perché fa subito pensare all’idea bucolica di qualcosa legato a un passato felice e, per così dire, più naturale. Ad ogni modo, si tratta di varietà di grani italiani che erano largamente utilizzati prima della grande industrializzazione, e quindi fino al Novecento, e che negli ultimi anni sono tornati al centro delle dinamiche di mercato e dell’interesse dei consumatori (oltre che dei produttori) perché possiedono caratteristiche speciali che li fanno preferire ai grani moderni. Cerchiamo di fare chiarezza sui grani antichi italiani e di capire se davvero sono così unici e provvidenziali.
Grani antichi, cosa significa
Secondo la definizione più diffusa, i grani antichi italiani sono delle varietà di grani duri che erano coltivate in Italia fino alla cosiddetta rivoluzione verde (la Green Revolution avvenuta intorno alla metà del Novecento), il processo che ha modificato le produzioni agricole per rispondere alle esigenze dell’industria alimentare e alle crescenti richieste del mercato.
Più precisamente, però, antico è solo un appellativo commerciale che può essere applicato a varietà locali di tutto il mondo, mentre sarebbe preferibile utilizzare la denominazione grano autoctono per far riferimento alle varietà specifiche di una località e quindi più “autentiche”, oppure “cereali originari” per sottolineare l’origine e la provenienza dell’ingrediente.
Dopo l’abbandono causato dalla maggior facilità di coltivazione e commercializzazione dei grani moderni, comunque, negli ultimi anni questi cereali sono stati recuperati in molte parti d’Italia e oggi è possibile trovare in commercio vari tipi di farina di grani antichi, ma anche prodotti trasformati come pane, pasta, biscotti, snack e cereali per la colazione.
Tipi di grano: differenze tra grani antichi e grani moderni
Attualmente, le varietà più commercializzate di cereali – quelli che possiamo definire i grani moderni – si chiamano Simeto, Duilio, Ciccio, Arcangelo e Creso e sono tutte nate negli ultimi decenni per rispondere alle esigenze di mercato e industria: questi prodotti sono stati creati grazie all’utilizzo di tecnologia e miglioramento genetico, che ha reso possibile lo sviluppo di farine forti, dall’alto indice di glutine, che possono quindi essere lavorate più rapidamente e a temperature elevate, così da accorciare e rendere più veloci i processi produttivi.
Inoltre, le piante dei grani moderni sono generalmente più basse rispetto a quelle dei grani antichi, una caratteristica che permette di ridurre i danni causati dal maltempo, a evitare il fenomeno dell’allettamento (la tendenza delle spighe a piegarsi per effetti degli agenti atmosferici) e, ancora, a facilitare la trebbiatura.
A questi aspetti positivi e pratici fa da contraltare un effetto negativo di non poco conto: gli interventi sui grani moderni hanno peggiorato la qualità del grano, motivo per cui è partita la caccia a varietà meno lavorate e più originali.
In realtà, la grande differenza tra grani antichi e grani moderni sta nella tenacità del glutine: nelle varietà moderne il glutine è forte (volutamente, per rispondere anche alle esigenze delle industrie della pasta), mentre nelle varietà antiche il glutine è debole.
E quindi, il grano antico è quello che non ha subito interventi di modifica dal punto di vista genetico (o, almeno, non nel senso moderno del termine), che conserva le caratteristiche originarie della pianta e che mantiene anche le proprietà organolettiche di un passato che, a ben vedere, non è poi così remoto.
Grani antichi quali sono
Se invece vogliamo far riferimento a dei grani davvero antichi – ovvero, coltivati sin dall’antichità – dobbiamo parlare di quelli appartenenti al genere Triticum (grano o frumento) che sono consumati da millenni e geneticamente di lunga data.
È il caso, ad esempio, del farro monococco, ritenuto il primo cereale addomesticato dall’uomo e ancora oggi coltivato come agli inizi della civiltà umana nonostante una (lunga) fase di abbandono: le sue caratteristiche dimensionali (chicco piccolo) e la scarsa produttività avevano portato alla preferenza per il farro dicocco, la base dell’alimentazione dei soldati romani nella fase di espansione dell’Impero, a sua volta poi sostituito dal grano tenero, già privo della glumella che avvolge il chicco e quindi più semplice e rapido da lavorare.
Oggi il grano tenero (Triticum aestivum) con le sue numerose varietà è il più diffuso al mondo, rappresentando il 95% dei grani coltivati, mentre tra le altre tipologie storiche ricordiamo il farro spelta (nato per fusione genetica tra farro e una graminacea spontanea) e il grano duro (Triticum durum), a sua volta nato da una mutazione genetica del farro e utilizzato principalmente per la produzione di pasta.
Negli ultimi tempi il grano monococco è tornato in auge per le sue qualità nutrizionali superiori agli altri cereali, così come sono stati riscoperti altri grani antichi più moderni, quali il grano Senatore Cappelli, Timilia e Saragolla.
Le tipologie di grano antico in Italia
Nel 1927 in Italia si riconoscevano 291 differenti tipologie di grano, alcune delle quali si sono poi perse nei decenni successivi a causa di una serie di fattori storici e industriali.
Tra quelli attualmente “vivi”, il più famoso tra i grani antichi d’Italia si chiama Senatore Cappelli: è stato “inventato” dall’agronomo Nazareno Strampelli grazie alla selezione genealogica del frumento duro tunisino Jenah Rhetifah ed è dedicato al senatore Raffaele Cappelli, uno dei principali fautori della rivoluzione agricola dell’Italia nel Novecento (avviando tra l’altro le trasformazioni agrarie in Puglia e sovvenzionando le attività di Strampelli). Oggi è coltivato in molte regioni meridionali, in particolare Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Sardegna e Sicilia, ed è destinato alla produzione di pasta di elevata qualità, ma anche di pane e pizza biologici.
Proprio la Sicilia era considerata una volta il “granaio di Roma” e vanta, tra le tipologie di grani duri e non, ben 52 varietà di grani antichi autoctoni. Sono grani antichi siciliani, tra gli altri, il Timilia, il Perciasacchi, il Biancolilla e il Russello, ognuno dei quali con le sue caratteristiche: ad esempio, il Perciasacchi si chiama così perché ha un culmine appuntito che buca i sacchi (traduzione dal dialetto del nome) e ha un sapore che richiama le erbe aromatiche mediterranee; il Timilia o Tumminia si usa per fare il celeberrimo pane nero di Castelvetrano; il Biancolilla ha una spiga alta e delicata e filamenti di colore grigio/nero, con chicchi ambrati.
Tra gli altri grani antichi meridionali citiamo anche il Maiorca (tipologia di grano tenero), la cui farina era storicamente usata per fare specialità dolci come la sfoglia del cannolo o la pasta reale, la Risciola e la Romanella, originaria del Sannio.
Risalendo verso il Centro Italia, poi, troviamo altre coltivazioni che oggi stanno ritornando prepotentemente sulla scena, come il grano duro Saragolla (un grano Khorasan come il noto e commercializzato Kamut), il Rieti originario e l’Etrusco, e i grani teneri Solina, Verna e Gentil Rosso.
I falsi miti sui grani antichi
La diffusione dei grani antichi è stata favorita anche dalla crescente attenzione dei consumatori verso prodotti di qualità migliore e meno elaborati: come detto, infatti, la commercializzazione e la promozione di tali cereali ha fortemente puntato sulle loro caratteristiche “originarie”, a volte anche esagerando con l’elenco delle qualità (spesso per giustificare costi di vendita piuttosto alti).
Infatti, secondo gli esperti non esiste, alla luce dei dati attualmente disponibili, la certezza che il consumo di grani antichi sia preferibile rispetto a quelli moderni per tutelare la nostra salute, perché a conti fatti non ci sono particolari differenze. Ciò detto, è comunque innegabile che i grani antichi siano una importante risorsa per conservare la biodiversità agroalimentare e recuperare le tradizioni culturali che hanno contraddistinto l’Italia.
In particolare, tra i falsi miti che aleggiano sui grani antichi ci sono presunti benefici salutari e differenze produttive, nonché la sottolineatura della loro autenticità: in realtà, anche questi cereali sono stati sottoposti nel passato a incroci e ibridazioni e quindi rappresentano comunque il frutto di una selezione genetica.
Non sembra essere del tutto vero, poi, che i grani antichi contengano meno glutine di quelli moderni, e quindi non è vero che siano adatti ai soggetti celiaci, né sono confermati dagli studi scientifici i possibili effetti positivi del consumo di tali prodotti sulla salute e sull’organismo.
In ultimo, non ci sono particolari differenze nella coltivazione di grani antichi e moderni: le scelte sulle modalità di coltivazione e sul tipo di macinazione per ricavare la farina dipendono esclusivamente dalle strategie aziendali. Essendo solitamente proposti da piccoli produttori, i grani antichi sono più facilmente trattati in condizioni ottimali di coltivazione e manipolazione delle materie prime, ma ciò appunto non deriva da caratteristiche intrinseche del prodotto.