Si chiama Yakiniku ed è “il” metodo di cottura giapponese per carni e verdure, una sorta di barbecue all’orientale che promette di ottenere risultati eccezionali con la cottura delle materie prime. La cucina giapponese non è solo sashimi o sushi, infatti, e riserva ricette eccezionali anche in questo ambito, grazie a procedimenti secolari da rispettare e ripetere in modo rigoroso e preciso: ecco quindi le regole dello yakiniku e le basi di questa tecnica giapponese di cottura alla griglia.
Che cos’è lo Yakiniku, tecnica giapponese cottura alla griglia
Letteralmente, Yakiniku significa semplicemente “carne alla griglia“, ma nella sua accezione più ampia si riferisce al metodo di cottura giapponese della carne alla griglia, che rappresenta una versione orientale del classico barbecue occidentale.
Lo stile giapponese dello yakiniku trae forti influenze da piatti coreani come il bulgogi e il galbi e si è diffuso nel Paese del Sol Levante nel corso del XX secolo, in particolare dopo la seconda guerra mondiale. Nella sua forma più comune, all’interno di un ristorante yakiniku i clienti ordinano le materie prime (carni e verdure, soprattutto) che vengono portati in tavola crudi, perché sono gli stessi ospiti a cucinarli su una griglia incorporata nella tavola, più pezzi alla volta.
Gli ingredienti vengono poi immersi in salse dette tare prima di essere consumati: la salsa più famosa è a basa di salsa di soia mista a sake, mirin, zucchero, aglio, succo di frutta e sesamo, ma spesso sono usati anche condimenti a base di aglio, scalogno e miso.
Come si chiama il metodo di cottura giapponese per carni e la sua storia
Più in generale, oggi il termine yakiniku identifica uno stile di cottura di carne (solitamente manzo e frattaglie) e verdure su graticci o piastre poste su una fiamma di carbonella carbonizzata mediante distillazione a secco o un grill a gas/elettrico.
Secondo le ricostruzioni storiche, i giapponesi iniziarono a conoscere e apprezzare il BBQ occidentale grazie allo scrittore Kanagaki Robun e al suo Seiyo Ryoritsu (cioè “manuale di cibo occidentale”), pubblicato nel 1872, ma già nel successivo primo periodo Shōwa la parola Yakiniku iniziò a essere usato per estensione anche alla cucina di derivazione coreana.
La progressiva diffusione e l’apprezzamento di questa metodo di cottura giapponese per verdure e carni alla griglia ha portato anche all’istituzione dello Yakiniku Day, una giornata ufficiale di celebrazioni voluta sin dal 1993 dalla All Japan Yakiniku Association e proclamata il 29 agosto.
Come funziona lo yakiniku: quali alimenti si cucinano in griglia
Anche se, come detto, si traduce semplicemente con “carne alla griglia”, in realtà lo Yakiniku è un vero e proprio mondo di gusti e peculiarità, e non è raro vedere i giapponese gustare bocconcini di carne grigliati sul lato del tavolo accompagnati da abbondante riso e bevande alcoliche ghiacciate.
Nella sua forma classica, questa tecnica di cottura giapponese è una festa di sapori e consistenze e si basa sulla cottura precisa di carni, verdure e alcune tipologie di prodotti ittici; come nel barbecue coreano, lo yakiniku giapponese predilige piccoli bocconcini di carne pensati per essere mangiati in morsi singoli, ma a differenza di quanto avviene nella cultura coreana, in Giappone è netta la prevalenza della carne di manzo e soprattutto delle frattaglie, chiamate in lingua giapponese horumon, traducibile con “materiali di scarto”, perché nello yakiniku viene utilizzata ogni parte della mucca, inclusi parti uniche come la trachea, animelle o aorta.
Più precisamente, gli ingredienti tipici dello yakiniku sono:
- Manzo, nei tagli
- Rōsu, fette di lombo e collo
- Karubi o baraniku, costole corte, solitamente servite senza le ossa, a meno che non sia specificato come hone-tsuki-karubi .
- Harami, carne tenera attorno al diaframma.
- Tan, lingua di manzo, spesso servito con cipollotto schiacciato, sale e succo di limone.
- Misuji, carne tenera intorno alla spalla.
- Maiale, nei tagli
- Butabara, pancetta di maiale.
- P-toro / Tontoro, carne grassa intorno alla guancia e al collo.
- Horumon o motsu, frattaglie miste
- Rebā, fegato di manzo.
- Tetchan, intestino.
- Hatsu, cuore.
- Kobukuro, utero di maiale, apprezzato per la sua consistenza granulosa.
- Tēru, fette di coda di manzo tagliate trasversalmente, con osso attaccato.
- Mino / Hachinosu, trippa di manzo.
- Gatsu, stomaco di maiale.
- Pollo
- Frutti di mare, per lo più calamari, crostacei, gamberetti.
- Verdure, per lo più peperoni, carote, shiitake e altri funghi, cipolle, cavoli, melanzane, germogli di soia (moyashi), aglio e zucca kabocha.
Tipi di cottura giapponese
Chi ha poca dimestichezza con la cucina giapponese potrebbe far confusione tra questa tecnica di cottura di carne alla griglia e altri metodi tipici del Paese orientale, e in particolare con i termini hibachi, Teriyaki e Jigoku Mushi, che in realtà fanno riferimento a procedimenti specifici distinti.
Cominciamo da “hibachi“, termine equivalente a “hot pot” in inglese, che identifica l’utensile utilizzato per la cottura: si tratta di una sorta di stufa (originariamente era infatti usato per riscaldare le case), un contenitore di legno o ceramica rivestito di metallo, utilizzato per bruciare carbone o legna, che oggi più modernamente è una griglia a carbone, elettrica e a gas su cui preparare carni alla griglia servendosi delle bacchette di metallo chiamate hibashi per maneggiare la carbonella.
Tutti i tipi di cibo possono essere cucinati in modo Hibachi (anche se più propriamente si dovrebbe parlare di teppanyaki, secondo i puristi), ma classicamente si utilizzano vari tagli di carne tagliata a fettine sottili o a cubetti, frutti di mare, ortaggi e verdure tagliati fette sottili o julienne, in particolare zucchine, cipolle e funghi, e poi ancora riso cotto e salsa di soia.
Teriyaki è invece un’altra tecnica di cottura alla griglia della cucina giapponese in cui i cibi vengono grigliati o abbrustoliti con una glassa di salsa di soia, mirin e zucchero; solitamente, si usano soprattutto pesci (in particolare tonno coda gialla, marlin, tonnetto striato, salmone, trota e sgombro), ma è diffusa anche per la carne, soprattutto pollo, maiale, agnello e manzo. La grande differenza con gli altri metodi di cottura alla griglia sta nell’uso dell’omonima salsa Teriyaki che rendere la carne lucida, e difatti il termine giapponese significa pressappoco arrosto lucido.
Metodo di cottura a vapore giapponese
L’ultima tecnica che descriviamo si chiama Jigoku Mushi, letteralmente cottura a vapore dell’inferno, che identifica a punto un metodo di cottura a vapore tipico del Giappone e del distretto di Kannawa di semplicità estrema che consente preparazioni salutari e soprattutto saporite. Questa tecnica si può scoprire in locali specifici, che consentono al cliente di noleggiare l’attrezzatura e acquistare le materie prime da cuocere al vapore sfruttando appunto il caldo infernale generato dagli appositi “forni“, che sono praticamente una struttura di mattoni in cui passa il vapore ad altissime temperature.
Più comunemente, però, i giapponesi utilizzano delle vaporiere in bambù per le loro preparazioni meno cariche di grassi, una consuetudine che oggi si è estesa anche all’Occidente.