È un’espressione che ritorna spesso nei discorsi sul comparto agroalimentare e, in particolare, nelle tematiche legate alla qualità e alle sostenibilità delle produzioni: filiera corta è un modo particolare di concepire la distribuzione dei prodotti, in particolare di alimenti naturali quali frutta e verdure fresche, che riduce i passaggi di produzione, trasformazione, distribuzione e commercializzazione e avvicina produttore e consumatore.
Cosa si intende per filiera corta
Secondo il dizionario, filiera corta indica una filiera produttiva di qualsiasi tipo (agro-alimentare per ciò che ci interessa, ma anche industriale e tecnologica) che si caratterizza per un numero limitato di passaggi produttivi e di intermediazioni commerciali. Per questo motivo, facilita o determina il contatto diretto fra il produttore e il consumatore, con conseguente riduzione dei costi al consumo dei prodotti, che sono anche di genuinità più direttamente verificabile.
Concentrandoci appunto sull’aspetto food, le filiere alimentari corte rappresentano il metodo di collegamento più breve o con il numero minore di passaggi e intermediari tra il produttore alimentare e il consumatore/cittadino che consuma tali alimenti.
A definire ufficialmente le filiere alimentari corte è stata la politica di sviluppo rurale dell’UE per il periodo 2014-2020, che intendeva con questa espressione (sintetizzata dalla sigla SFSC, dall’inglese short food supply chain) una filiera “che coinvolge un numero limitato di operatori economici, impegnati nella cooperazione, nello sviluppo economico locale e nel mantenimento di strette relazioni geografiche e sociali tra produttori, trasformatori e consumatori di alimenti”. L’UE ha incoraggiato i produttori a partecipare alle iniziative SFSC anche con politiche di cofinanziamento attraverso il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e quindi, anche per questo, negli ultimi anni è aumentato di numero gli agricoltori urbani e rurali che vendono i loro prodotti direttamente ai consumatori, con intermediari minimi.
Filiera corta: ecco degli esempi
È importante comprendere che le filiere corte non sono necessariamente locali (corte in termini geografici), ma vengono definite in base alla riduzione dei passaggi delle catene di approvvigionamento, che hanno il minor numero di collegamenti possibile tra produttore e consumatore (e quindi sono corte perché la catena ha un numero limitato numero), e inoltre possono includere gruppi di agricoltori o produttori che lavorano insieme, ad esempio cooperative, oltre che individui e produttori singoli.
Esistono pertanto diverse forme di filiera corta, che varia anche in base ai prodotti commercializzati: i più comuni sono frutta e verdura fresca di stagione, seguiti da prodotti di origine animale (principalmente carne, fresca e preparata) e latticini e bevande.
Una delle forme più semplici di catena corta in campo agroalimentare è la vendita diretta dall’agricoltore al consumatore finale, che può avvenire in azienda, al mercato ortofrutticolo o anche attraverso un sito online. Ci sono poi modalità definite CSA o agricoltura comunitaria, ovvero una partnership tra un gruppo di persone e un agricoltore in cui i consumatori sostengono finanziariamente i coltivatori locali acquistando un “abbonamento” ai loro prodotti freschi per una particolare stagione di crescita (che ricevono al momento opportuno).
C’è anche la possibilità di aggiungere un intermediario, ovvero un professionista (ma anche supermercati, rivenditori specializzati, macellerie e così via) che vende ai consumatori prodotti per conto terzi mostrando però informazioni chiare e precise sulle persone e sul luogo coinvolti nella produzione dell’alimento stesso.
Oltre alla filiera corta per frutta e verdura, come detto, c’è anche quella che interessa la commercializzazione delle carni, che segue gli stessi principi e regole e consente al consumatore di acquistare è tracciata e selezionata, di origine controllata e spesso proveniente da allevamenti che utilizzano sistemi più organici (e non sfruttano, ad esempio, allevamento di tipo intensivo).
Filiera corta e filiera lunga: le differenze
Prima di finire sulle nostre tavole, il cibo viaggia attraverso filiere o catene di approvvigionamento composte di vari anelli, o per meglio dire attraverso sistemi complessi che vedono la presenza di diversi intermediari come distributori, grossisti, dettaglianti, operatori della ristorazione e così via.
Tutti i passaggi necessari – produzione, trasformazione, distribuzione e commercializzazione – che rendono una semplice “materia prima” un vero e proprio “alimento” hanno un costo in termini economici, sociali e ambientali, che la filiera corta aspira ad abbattere.
Nella classica filiera lunga, infatti, il processo che porta un cibo dal produttore al consumatore è appunto lungo e articolato, con molti passaggi e intermediari che si traducono in un aumento dei costi per il consumatore e, di conseguenza, una riduzione della retribuzione per chi produce. Inoltre, dal punto di vista pratico la movimentazione dei prodotti provoca emissioni di gas nocivi che aumentano l’impronta ecologica (il valore che misura la velocità con cui l’uomo consuma le risorse naturali e genera rifiuti) di questo tipo di filiera.
Filiera corta: quali sono i vantaggi
Già da quanto scritto dovrebbe essere chiaro che, al contrario, filiera corta significa controllo e riduzione dei processi produttivi e dei passaggi tra produttore e consumatore, che va a beneficio della qualità dell’alimento, ma anche dell’ambiente.
I recenti sviluppi nel mercato alimentare hanno mostrato come sia indispensabile una riscoperta dei modi tradizionali e diretti di consegnare il cibo, insieme all’emergere di tipi più innovativi di sistemi di distribuzione che forniscono collegamenti diretti tra produttori e consumatori.
Secondo vari studi, la filiera corta e i sistemi di vendita senza intermediari (o con intermediari ridotti) forniscono importanti vantaggi al pubblico in generale: ad esempio, la maggiore interazione faccia a faccia si traduce in genere in livelli più elevati di fiducia dei consumatori, che apprezzano anche la maggiore trasparenza e tracciabilità associate a questa metodologia, potendo ottenere informazioni chiare sulla provenienza del cibo, su come viene prodotto e sulle sue caratteristiche associate.
Benefici ci sono anche per i produttori, che ottengono non solo immediati e concreti ritorni economici, ma possono anche godere di una maggiore autonomia produttiva e distributiva e di un migliore utilizzo delle risorse.
Come dicevamo, poi, ci sono benefici anche per l’ambiente, perché lo sviluppo della produzione e distribuzione alimentare locale può ridurre le emissioni dei trasporti e aumentare l’efficienza della logistica. Questo è un fattore importante anche alla luce delle recenti difficoltà globali su questo fronte, legato anche alla salute e alla sicurezza alimentare: in generale, le lunghe catene di approvvigionamento hanno maggiori possibilità di “incepparsi” a causa di problemi di vario tipo (pensiamo alla crisi in Ucraina o alle difficoltà di rifornimento dalla Cina post-Covid), e quindi una filiera corta può essere la chiave per affrontare periodi di incertezza e difficoltà.