Dimmi cosa (e quando) mangi e ti dirò se cerchi benessere, salutismo, naturalità, sicurezza o italianità: si possono sintetizzare così le nuove abitudini alimentari degli italiani fotografate dall’ultima edizione Osservatorio Immagino, che ormai da diversi anni segue e monitora le tendenze food nel nostro Paese. A saltare agli occhi è in particolare l’attenzione rivolta al metodo di lavorazione e soprattutto alla dicitura “non filtrato”, con la birra in posizione di spicco, che conquista il paniere della spesa nel nostro Paese.
Cosa significa non filtrato e quali sono gli alimenti non filtrati
Una moda, o piuttosto una maggiore consapevolezza sull’importanza dei processi lavorativi: gli italiani apprezzano i cibi che riportano in etichetta l’indicazione “non filtrato”, che fa riferimento a una precisa scelta produttiva.
Vale a dire, vino, birra, miele e olio extravergine di oliva (tra gli altri) che, a fine produzione, non passano come avviene comunemente alla fase di filtrazione, ma vengono imbottigliati e confezionati “tal quale”, in maniera più grezza, ma anche più naturale.
La regolare filtrazione avviene in diverse modalità: le più comuni sfruttano appositi filtri e membrane oppure sostanze assorbenti, come il carbone vegetale, che servono sempre allo stesso scopo, ovvero rimuovere ogni tipo di impurità “ereditata” nelle precedenti fasi di lavorazione, generando così un prodotto di aspetto più limpido e puro.
Un’enorme differenza tra le caratteristiche degli alimenti filtrati e degli alimenti non filtrati sta proprio nell’aspetto visivo e organolettico: i secondi, infatti, si presentano di colori più scuri, consistenze più dense e torbide, ma anche profumi più intensi e aromi generalmente più complessi.
Birra non filtrata, tra le preferite in Italia
La birra non filtrata è probabilmente il prodotto di questa tipologia che sta conquistando maggiori consensi e preferenze degli appassionati di questa bevanda: dall’aspetto più “rustico” e meno elaborato, le birre non filtrate sono percepite come più saporite, con una consistenza granulosa e maggiore complessità aromatica.
Rispetto alle normali birre, infatti, conservano i residui di lievito, luppolo, orzo o malto che risultano dopo la procedura di fermentazione, che invece vengono appunto filtrati nelle altre modalità di produzione (che rendono le birre più “lisce”, con consistenza pulita e croccante).
Dal punto di vista del gusto, poi, birra non filtrata ha anche una maggiore rotondità e corposità in bocca (con i tipici sentori di lieviti e di crosta di pane), grazie appunto alla maggior persistenza di lievito, luppolo e orzo, che determina anche una percezione più amara al palato, pur conservando un gusto fresco e rinfrescante.
Più precisamente, le birre sono filtrate in centrifughe o per filtri a cartoni, che permettono di trattenere e rimuovere le eventuali impurità, ma anche i lieviti rimasti dopo la fermentazione, e di solito il processo avviene a bassa temperatura per assicurare il mantenimento delle caratteristiche organolettiche originali. Le birre non filtrate, invece, si fanno decantare naturalmente nei tini di fermentazione, e quindi conservano tutti i loro lieviti in sospensione, che generano appunto le caratteristiche di velatura e opalescenza della bevanda.
Per apprezzare al meglio la birra non filtrata gli esperti consigliano di tenere la bevanda al fresco e di agitare leggermente la bottiglia, per distribuire meglio i lieviti ed evitare che restino depositati sul fondo.
Olio extravergine di oliva non filtrato: più naturale, ma più delicato
Un altro prodotto che sembra scalare le classifiche di preferenza degli italiani è l’olio evo non filtrato, che si distingue immediatamente dalla versione filtrata per un colore giallo-verde più intenso e un aspetto torbido.
Anche l’assaggio rivela differenze nette, soprattutto in termini di sapori e profumi, che sono arricchiti dall’assenza del filtraggio: in particolare, l’olio extravergine di oliva non filtrato contiene microparticelle di polpa, noccioli e semi di olive (ma anche piccoli residui d’acqua), che normalmente vengono rimossi anche per assicurare un più prolungato periodo di conservazione (senza che ciò intacchi le proprietà nutritive e organolettiche, tra l’altro).
Per questo, l’olio evo non filtrato è più delicato e si deteriora molto rapidamente: va infatti consumato entro al massimo 3 mesi dalla produzione, altrimenti intervengono processi di irrancidimento e ossidazione che sviliscono il profilo aromatico e sensoriale, provocando la perdita progressiva del prezioso contenuto originario.
Vino non filtrato, una bevanda che continua a evolvere
Molto più comune è il vino non filtrato, che si riconosce facilmente per la presenza di particelle in sospensione e un colore più torbido, ma lucente: la scelta di non eseguire il filtraggio serve, secondo i produttori e gli estimatori, a dare una personalità unica a ogni bottiglia, perché in questo modo il vino resta vivo e prosegue la sua evoluzione in modo più naturale e complesso, anche dopo l’imbottigliamento.
Anche in questo caso c’è un’accortezza da considerare: se il vino è fermo, la bottiglia non va agitata prima della degustazione per tenere i residui sul fondo (facendo attenzione anche quando versiamo il liquido nei bicchieri); quando vogliamo gustare vini frizzanti o spumanti non filtrati, al contrario, la bottiglia va agitata per distribuire in modo più omogeneo i lieviti.
I dati sui consumi in Italia degli alimenti non filtrati
Il metodo di lavorazione e la tecnica produttiva fanno la differenza al momento dell’acquisto, quindi, e l’ultima edizione dell’Osservatorio Immagino GS1 Italy, che dal 2016 studia e tiene sotto costante controllo la dinamica dei comportamenti del consumatore, identificando i nuovi trend di consumo e di offerta soggetti a veloci cambiamenti nel tempo, ci fornisce alcuni dati interessanti.
In particolare, nell’ultimo anno l’indicazione in etichetta del metodo di lavorazione adottato per i prodotti alimentari (con riferimento anche solo parziale) hanno totalizzato circa un giro d’affari di circa 1 miliardo di euro: rientrano in questo ambito quasi 90mila prodotti, accomunati accomunati da claim e caratteristiche in etichetta come “estratto a freddo”, “trafilato”, “lavorato a mano”, “essiccazione”, “artigianale”, “affumicatura” e, appunto, “non filtrato”.
Su quest’ultimo aspetto, la ricerca ha individuato 142 prodotti presentati con l’indicazione “non filtrato”, capeggiati proprio dalla birra non filtrata, che rappresentano circa lo 0,2 per cento del settore in quantità, ma lo 0,4 per cento in termini di valore, con una variazione positiva delle vendite su base annua pari al 2,5 per cento e un trend di crescita costante registrata sin dal 2019.