Tutto sull’Anisakis, il parassita del pesce crudo

Noto anche come verme del pesce crudo, è un piccolo parassita particolarmente ostile che provoca danni che possono diventare molto gravi: oggi ci concentriamo sull’anisakis, che infesta l’apparato gastroenterico di molte specie marine e che colpisce anche l’uomo, perché si trasmette col consumo di carni di pesci crude o poco cotte.

Anisakis, cos’è questo parassita del pesce

Con il nome Anisakis si fa riferimento a una particolare famiglia di vermi di piccole dimensioni (solitamente inferiori ai 2 centimetri), che infesta da parassita il tratto gastrointestinale di molti mammiferi marini e che può causare brutte infezioni negli esseri umani che amano mangiare pesce crudo o poco cotto.

Le specie del complesso di parassiti si trovano in generale sia negli ambienti marini profondi che costieri nel bacino atlantico, e le larve del verme Anisakis sono in genere presenti nell’intestino di varie specie marine, sia mammiferi come i delfini e le foche che in pesci come il salmone, il tonno, le acciughe, le aringhe, il merluzzo e lo sgombro e salmone del Pacifico; in particolare, alcuni studi stimano che ci siano tracce di Anisakis nell’85% delle aringhe e nel 70% dei merluzzi.

Ci però anche dei pesci immuni dalla contaminazione da anisakis, come ad esempio i salmoni d’allevamento norvegesi, come certificato dalla Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) in deroga al regolamento europeo in materia, di cui quindi è consentita la vendita e il consumo anche a crudo o in affumicatura.

verme pesce crudo

Parassita pesce crudo, come si trasmette?

Il ciclo di vita di questo verme che si trova nel pesce crudo è piuttosto complesso, coinvolge molti esseri viventi dell’ecosistema marino e gli esseri umani finiscono per essere degli ospiti accidentali: i vermi adulti si trovano infatti nello stomaco dei mammiferi marini e le loro uova si trasmettono nelle acque marine tramite le loro feci, venendo ingerite da pesci, crostacei, gamberetti e calamari (dove le larve si fanno strada nei tessuti muscolari), che a loro volta diventeranno prede di altri pesci più grandi. Questo ciclo consente la diffusione dell’infezione e consente la trasformazione delle larve in vermi adulti.

L’ultimo gradino di questo processo è rappresentato dall’uomo: quando si consuma pesce crudo o poco cotto, proveniente da pescato che non viene presto eviscerato e che non è stato sottoposto ai previsti procedimenti di salvaguardia, si rischiano appunto la contaminazione e la penetrazione dei vermi nel tessuto intestinale umano, che genera un’infezione chiamata anisakiasi.

Anisakis, sintomi e le conseguenze per l’uomo

L’anisakiasi è quindi la patologia infettiva provocata da una ingestione involontaria di larve di vermi del complesso Anisakis simplex e delle altre specie anisakidi: tecnicamente, è classificabile per sintomi e caratteristiche come parassitosi, di forme e livelli di gravità molto differenti, che possono anche provocare infiammazioni, ulcere e reazioni allergiche serie.

L’incidenza delle infezioni umane è generalmente collegata alle abitudini gastronomiche e, più specificamente, alla diffusione di piatti a base di pesce crudo: non a caso, in Giappone – dove il pesce crudo è parte integrante della dieta tradizionale, con i casi celeberrimi di sushi e sashimi – sono stati segnalati più di 1000 casi ogni anno, così come è frequente sulla costa del Pacifico del Sud America e in parti del Nord Europa dove si consumano piatti come ceviche e pesce in salamoia o marinato. Negli Stati Uniti, al contrario, si riportano meno di 10 casi diagnosticati ogni anno.

Dal punto di vista medico e sanitario, la penetrazione del verme nei tessuti intestinali provoca una risposta immunitaria infiammatoria locale che provoca i sintomi dell’anisakiasi, che possono includere violenti dolori addominali, nausea, vomito e diarrea, che si sviluppano solitamente entro 48 ore dall’ingestione delle larve. La diagnosi viene eseguita mediante esame gastroscopico o istopatologico del tessuto bioptico.

L’infezione umana è comunque un vicolo cieco nel ciclo di vita del parassita, perché l’anisakis non si può trasmettere da uomo a uomo; dopo essere giunto nell’intestino umano, il verme attira i globuli bianchi chiamati eosinofili e macrofagi, formando una massa di tessuti immunitari chiamata granuloma che poi viene espulsa.

Solitamente, infatti, l’anisakiasi si risolve spontaneamente entro 3 settimane attraverso l’eliminazione e l’espulsione dall’intestino dei parassiti, che raramente persiste per un periodo superiore.

Ci sono però delle possibili complicazioni provocate dall’infezione: in alcuni casi, quando non espulsi o vomitati i vermi della specie anisakis possono infettare gli ospiti attaccandosi alla mucosa intestinale e penetrando nel tratto gastrointestinale, causando una grave infezione della mucosa che provoca danni ai tessuti e ulcere gastriche; in altre situazioni, comunque poco frequenti, viene interessato l’intestino tenue attraverso un’infiammazione di risposta immunitaria che ricorda l’appendicite o  il morbo di Crohn che si sviluppa nel giro di 1 o 2 settimane dopo il consumo.

parassita del pesce

Trattamento e cure dell’anisakiasi

Come detto, in genere l’anisakiasi si risolve spontaneamente dopo alcune settimane, perché la maggior parte delle infezioni sono autolimitanti per le caratteristiche fisiche delle larve, che non riescono a sopravvivere per lunghi periodi nell’ospite umano e finiscono per essere eliminate dalle difese immunitarie. Tuttavia, il danno ai tessuti (e in particolare a esofago, stomaco, intestino e colon) può causare sintomi più duraturi e gli antigeni che restano nelle carni dei pesci dopo la morte delle larve possono causare reazioni allergiche in alcuni individui.

Il primo segnale riscontrato quando si mangia pesce infestato da anisakis viene descritto come una sorta di prurito alla gola: se si avverte questa sensazione, sarebbe opportuno espellere le larve il prima possibile, evitando quindi che l’infezione possa interessare l’esofago e diffondersi.

La diagnosi dell’infezione viene generalmente effettuata mediante endoscopia, radiografia o chirurgia se il verme ha contaminato l’organismo umano, mentre il trattamento dell’anisakiasi consiste nella rimozione chirurgica o endoscopica dei parassiti.

Anisakis prevenzione: i comportamenti da adottare

La prevenzione dall’Anisakis e dalla consequenziale infezione inizia quindi dall’adozione di pratiche consapevoli di consumo alimentare: per quanto possibile, è opportuno evitare di mangiare pesce crudo o poco cotto di cui ignoriamo l’origine e il trattamento a cui è stato sottoposto, così come rischiosi sono altre tipologie di pietanze “di mare” che non prevedono la cottura.

Dobbiamo infatti sapere che le larve di Anisakis mostrano una notevole tolleranza al sale e all’aceto, ingredienti principali nelle salamoie e nelle marinature, e quindi il pesce così trattato non è sicuro al 100%. Al contrario, sono termolabili e subiscono sia l’effetto del caldo in cottura che del freddo in congelamento, che sono quindi le “armi” in nostra tutela, anche se l’efficacia di queste due operazioni dipendono dalla temperatura e dalla durata: in particolare, si pensa che un congelamento a -18° per almeno 96 ore sia sufficiente (conservando il pesce alla stessa temperatura fino al momento del servizio a crudo o della cottura), mentre in cottura bisogna essere certi che l’interno del pesce raggiunga una temperatura superiore ai 60° per almeno 10 minuti per avere la certezza di uccidere le larve.

Le regole e le leggi per prevenire l’anisakis e i sintomi dell’anisakiasi non sono identiche in tutto il mondo, anche se si basano sempre su raccomandazioni legate alla gestione preventiva e alla cottura degli alimenti.

In particolare, l’Unione europea suggerisce di congelare il pesce per almeno 24 ore a -20°, stabilendo nel contempo l’obbligo per i ristoratori di possedere abbattitori di temperatura; secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, invece, è necessaria innanzitutto una rapida eviscerazione del pescato (aiuta a diminuire il rischio del passaggio delle larve dagli intestini ai tessuti muscolari del pesce), che deve essere poi congelato ad almeno -23° per 7 giorni o venduto immediatamente per una rapida cottura.

Più dettagliate le indicazioni della Food and Drug Administration negli Stati Uniti, che fornisce linee guida su come eliminare i parassiti per i rivenditori che vendono pesce destinato a essere consumato crudo e anche per i consumatori che intendono mangiare pesce in tutta sicurezza. Nello specifico, è previsto il congelamento del pesce almeno a -31°F (─35° C) per 15 ore o -4°F (─20° C) per 7 giorni per uccidere i parassiti e l’esecuzione di un esame fisico noto come candling, che consiste nell’osservazione dei filetti in controluce alla ricerca dei vermi.

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