Mangiare l’agnello a Pasqua è da anni al centro di un acceso dibattito che, con il tempo, ha assunto dimensioni sempre più complesse. Alla luce della crescente sensibilità nei confronti della sofferenza animale, delle problematiche ambientali e della sostenibilità, il tema è oggi oggetto di riflessioni che coinvolgono non solo tradizionalisti e animalisti, ma anche filosofi, allevatori e semplici consumatori, pronti a interrogarsi sul senso e sulle conseguenze delle proprie scelte alimentari. Cerchiamo quindi di fare chiarezza, partendo dalle origini di questa tradizione fino ad arrivare alle prospettive più attuali, includendo anche delle alternative per un menu di Pasqua senza agnello.
Agnello di Pasqua, da dove deriva l’abitudine
La consuetudine di mangiare l’agnello durante le festività pasquali affonda le sue radici nella Pasqua ebraica, la festività che celebra la liberazione degli ebrei dalla schiavitù in Egitto. Secondo il libro dell’Esodo, il sangue dell’agnello veniva utilizzato per contrassegnare le porte degli israeliti, segnandole e risparmiando così i primogeniti dal passaggio dell’angelo sterminatore. In origine, dunque, si trattava di un rito altamente simbolico più che alimentare, che col tempo si è evoluto fino al consumo della carne dell’animale.
Tuttavia, secondo recenti studi, non sarebbe stato Mosè a introdurre l’agnello come cibo prescritto per la Pasqua ebraica. Nella cultura ebraica non è nemmeno tra gli animali principali usati per il sacrificio: si preferivano il capro o l’ariete, come ricordano anche altri importanti episodi biblici.
Il consumo di agnello nella tradizione cristiana
È nel Nuovo Testamento che l’agnello assume un nuovo significato, diventando simbolo di Gesù Cristo, sacrificato per la salvezza dell’umanità. Giovanni Battista lo chiama “l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”, cristallizzando così un paragone che nel tempo diventa fortissimo tanto in ambito teologico quanto nella pratica religiosa.
La sua immagine di animale giovane, innocente, puro e fragile è divenuta perfetta metafora della figura di Cristo. E sebbene non vi sia un fondamento evangelico che prescriva il consumo di agnello, la tradizione si è solidificata, diventando particolarmente sentita nelle zone d’Italia a forte vocazione pastorale.
L’agnello nella gastronomia italiana
Anche al di fuori della Pasqua, l’agnello è un protagonista della cucina italiana, con piatti iconici come l’abbacchio a scottadito, lo spezzatino d’agnello alla cacciatora, l’agnello al forno e ricette regionali come l’agnello alla sarda o con piselli e uova alla napoletana.
Queste preparazioni, profondamente legate alle stagioni e alla disponibilità degli animali nei mesi primaverili, raccontano tanto delle nostre radici quanto dell’evoluzione del concetto di “tradizione”, che oggi è messo in discussione anche alla luce di una nuova coscienza etica e ambientale.
Le ragioni per non mangiare l’agnello a Pasqua
Negli ultimi anni, le immagini di camion carichi di agnelli e le testimonianze sugli allevamenti hanno contribuito a rafforzare le campagne animaliste in difesa di questi cuccioli. Sui media si intensificano le denunce delle condizioni di trasporto e macellazione: animali sottoposti a pesatura collettiva, prigionieri in spazi ristretti, uccisi talvolta senza adeguata storditura.
A queste denunce si aggiungono riflessioni più ampie, come quelle del filosofo antispecista Leonardo Caffo e dell’ex allevatore Massimo Manni, fondatore del Santuario Capra Libera Tutti. Secondo Caffo, il vero nodo non è tanto la questione pasquale in sé, ma il modello industriale di produzione: “In natura certi numeri di agnelli non esisterebbero. È il sistema allevatoriale stesso che ha creato un problema di eccesso di vite nate per essere subito soppresse”.
Sia Caffo che Manni contestano la distinzione tra allevamenti intensivi ed estensivi, perché “anche se trattato bene, l’animale resta un essere vivente che viene privato della libertà e della vita”. Per entrambi, il vero cambiamento deve partire dall’eliminazione graduale della pastorizia, oggi ritenuta da alcuni anacronistica come lo erano i lampionai dei secoli scorsi. Una visione radicale ma non utopica, che propone la transizione delle attività pastorali verso forme economiche alternative, supportate da incentivi statali o regolamentazioni europee, anche con l’affiancamento di esperti del territorio che valutino l’equilibrio ambientale post-allevamento.
Il punto di vista degli allevatori
Dal canto loro, gli allevatori continuano a difendere una pratica che considerano parte integrante dell’identità culturale e delle economie rurali italiane. Già in passato è stato evidenziato come il mancato consumo degli agnelli possa mettere in crisi un intero settore, già provato da restrizioni e crisi economiche.
Il mantenimento degli animali maschi, ritenuti non produttivi, è antieconomico, e introdurre la pratica del rilascio in natura significherebbe condannare gli agnelli a morte certa per opera di predatori. Secondo gli allevatori, una risposta più concreta sarebbe quella di adottare un approccio consapevole all’acquisto della carne: optare per fornitori locali, scegliere animali interi piuttosto che singoli tagli, e diffidare da prezzi troppo bassi, spesso spia di allevamenti intensivi.
Una possibile sintesi tra questi due mondi è ancora difficile, ma una cosa appare ormai chiara: non è solo una questione di Pasqua, ma di modello produttivo, di filiera etica e di scelte alimentari che vanno ben oltre la festività.
Idee per un menu di Pasqua senza agnello
Per chi non vuole sentir ragioni e non se la sente di cucinare l’agnello a Pasqua, ad ogni modo, non ci sono particolari “problemi” per completare il menu della festa: abbiamo spiegato che il consumo di questa carne è una sorta di eredità simbolica millenaria, ma non rappresenta un precetto religioso né un obbligo.
Abbiamo quindi la possibilità di variare con tantissime preparazioni adatte a un secondo piatto – il “ruolo” in genere ricoperto dalle portate con agnello di Pasqua – utilizzando ad esempio altre carni (il classico maiale o il manzo, ma anche un pollo o del tacchino, da preparare al forno o in modalità più “originali”, anche ispirate alle cucine orientali), oppure puntando su un menu più vegetariano.
Potremmo ad esempio preparare un semplice pollo al forno con patate, uno spezzatino di maiale con patate e piselli, un pollo teriyaki con salsa giapponese, o stravolgere la tradizione e proporre un piatto elaborato a base di pesce, come un rotolo al salmone in crosta o delle sfiziose cotolette di sarde. Se vogliamo rinunciare alla carne tout court, invece, possiamo dar spazio alla creatività con infinite soluzioni vegetariane, come le polpette di melanzane alla napoletana, una ricca frittata di patate e asparagi oppure con asparagi con l’uovo alla Bismarck.
Che sia una scelta etica, ecologica o semplicemente personale, ogni decisione ha un significato. E in una festività che celebra la rinascita, rinnovare anche il nostro approccio alla tavola può essere un gesto potente e coerente con i tempi.