Mangiare o non mangiare l’agnello a Pasqua: parliamone qui

Mangiare l’agnello a Pasqua è un tema spesso al centro di polemiche e, negli ultimi anni, la questione è diventata ancora più dibattuta, sulla scia della crescente attenzione globale al consumo di carni animali, in particolare se provenienti da esemplari di giovane età. Ma da dove deriva questa tradizione e che legame c’è con la religiosità? Cerchiamo di investigare la storia dell’agnello e di fornire qualche consiglio e spunto per un menu di Pasqua senza agnello e alternativo.

Agnello di Pasqua, da dove deriva l’abitudine

Il consumo della carne di agnello a Pasqua è una tradizione gastronomica che deriva in realtà dai rituali sacrificali della Pasqua ebraica, la festa che celebra la liberazione dalla schiavitù. In questa occasione, infatti, si serviva un piatto a base di carne di agnello in ricordo del sangue dell’animale con cui gli ebrei prigionieri in Egitto contrassegnarono gli stipiti delle proprie porte e misero in salvo i propri primogeniti dal passaggio dell’angelo sterminatore.

Nell’impossibilità di consumare il sangue dell’agnello – considerato impuro dai rigorosi criteri alimentari dell’ebraismo – si passò quindi ai piatti con la carne, una scelta che, storicamente, si lega anche ai costumi di popolazioni semi-nomadi e pagane “abbracciati” dalla cultura ebraica. Secondo gli studiosi dei testi dell’Esodo, infatti, lo stesso Mosé non prescrisse precisamente l’agnello come cibo obbligatorio per la Pasqua e quindi la tradizione si sviluppò successivamente.

Ad ogni modo, comunque, nell’ebraismo il consumo di agnello non ha diretta valenza sacrificale, anche perché gli ebrei preferivano usare un capro per i sacrifici al Tempio o un ariete, come nel celeberrimo episodio del sacrificio di Isacco da parte di Abramo.

Il consumo di agnello nella tradizione cristiana

È nel Nuovo Testamento che l’agnello assume tutt’altro significato, diventando un simbolo del sacrificio di Gesù Cristo e, per estensione, della sua stessa figura. È già Giovanni Battista a definire Cristo “l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”, anticipando in qualche modo anche il suo ruolo sacrificale per la redenzione dell’intera umanità.

Consumare agnello a Pasqua diventa quindi un modo per ricordare il sacrificio di Gesù Cristo, anche se in realtà non c’è riferimento specifico nei testi evangelici a questa portata: in una famosa omelia del 2007, Papa Benedetto XVI ammise che probabilmente lo stesso Gesù non mangiò l’agnello durante l’Ultima Cena (che era in effetti una celebrazione della Pasqua ebraica), così come non ci sono menzioni esplicite a sacrifici rituali che prevedevano (e giustificavano) l’uccisione di questo animale.

Per le sue caratteristiche “intrinseche” – cucciolo di pecora di età di un mese circa – l’agnello è stato accolto come più ampio simbolo di purezza, della mancanza di colpa e della fragilità della vita, perfetta metafora di Cristo, che si è immolato come agnello sacrificale e, con la sua morte e resurrezione, ha salvato gli uomini e redento i loro peccati. Mangiare l’agnello di Pasqua allora non ha più avuto un senso di rito sacrificale, ma un significato simbolico e teologico più elevato, trovando grande riscontro soprattutto nelle zone maggiormente dedite alla pastorizia, come il Centro-Sud d’Italia.

L’agnello nella gastronomia italiana

In effetti, anche fuori dal periodo pasquale, l’agnello ha un ruolo centrale nella gastronomia italiana, dove ci sono tantissime specialità che utilizzano la carne di questo animale: basti citare l’abbacchio a scottadito, lo spezzatino d’agnello alla cacciatora, l’agnello al forno, le costolette d’agnello impanate al forno o l’agnello con piselli e uova della tradizione napoletana.

Oltre alla festività della Pasqua, l’agnello è poi diventato un simbolo della primavera, la stagione in cui gli esemplari sono tradizionalmente “pronti” per la macellazione.

 

Le ragioni per non mangiare l’agnello a Pasqua

Negli ultimi anni, la crescente consapevolezza alimentare e le maggiori attenzioni soprattutto sulle condizioni degli animali hanno spesso portato a campagne di “boicottaggio” del consumo dell’agnello a Pasqua. Stando ad alcune vecchie statistiche, solo in questa circostanza gli italiani consumano all’incirca tre milioni e mezzo di agnelli, usati per produrre migliaia di tonnellate di carne con cui “rispettare la tradizione”.

A rafforzare le proteste contro questo consumo ci sono anche motivazioni legate alla cattiva cura degli esemplari, oltre che alla crudeltà dell’uccisione di animali tanto giovani. In particolare, chi sostiene la causa del “non mangiare agnello a Pasqua” ricorda che spesso gli animali trascorrono le ultime ore in spazi angusti e in condizioni igienico-sanitarie pessime, oppure che sono legati per sottoporli alla pesatura di gruppo (rischiando lesioni muscolari e dei legamenti), o ancora trattati con violenza e sgozzati in stato di coscienza (se l’elettronarcosi non è applicata correttamente).

Ma gli allevatori spiegano le loro ragioni

Quest’anno hanno provato a dire la loro anche gli allevatori, soprattutto dopo il lungo periodo di crisi della ristorazione causato dalla pandemia e dalle relative restrizioni alla ristorazione, che ha privato loro di un canale fondamentale per la distribuzione delle carni animali.

Dal loro punto di vista, non consumare agnello a Pasqua è una scelta che rischia di mettere in pericolo un’intera specie: laddove la grande distribuzione privilegia l’offerta estera, acquistando agnelli stranieri dal costo molto più basso, gli allevatori italiani trovano bloccato il mercato interno anche per l’ostracismo culturale su questa carne.

Oltre all’aspetto economico, c’è anche una questione legata alla gestione delle greggi: mantenere un ampio numero di esemplari maschi (che non sono produttivi) è insostenibile e crea creano problemi all’intero gruppo, e quindi eliminare alcuni soggetti di sesso maschile è addirittura necessario al fine di garantire la continuità della specie stessa.

E quindi, nell’ottica degli allevatori non c’è possibilità di “rinunciare” all’eliminazione degli esemplari maschili – non solo per la richiesta di mercato, dunque – ma non può essere sostenuta neppure una tesi parallela, ovvero liberare gli agnelli in natura. Gli ovini sono animali domestici e necessitano di cure, per cui “abbandonarli” allo stato brado significa solo esporli a rischi di precoce morte.

Il compromesso proposto, quindi, è quello di acquistare e consumare carne di agnello in maniera più accorta e consapevole, facendo riferimento ad allevamenti o rivenditori locali e non a chi opera su grandissime quantità (che potrebbero essere segno di “mattanza”), e privilegiando l’acquisto di bestie intere e non solo di alcuni tagli particolari.

Occhio anche al prezzo della carne di agnello: in genere si mantiene sui 15 euro al chilo e non deve mai scendere sotto i 10 euro, quota sotto cui la produzione è massiva e gli allevamenti più intensivi.

Idee per un menu di Pasqua senza agnello

Per chi non vuole sentir ragioni e non se la sente di cucinare l’agnello a Pasqua, ad ogni modo, non ci sono particolari “problemi” per completare il menu della festa: abbiamo spiegato che il consumo di questa carne è una sorta di eredità simbolica millenaria, ma non rappresenta un precetto religioso né un obbligo.

Abbiamo quindi la possibilità di variare con tantissime preparazioni adatte a un secondo piatto – il “ruolo” in genere ricoperto dalle portate con agnello di Pasqua – utilizzando ad esempio altre carni (il classico maiale o il manzo, ma anche un pollo o del tacchino, da preparare al forno o in modalità più “originali”, anche ispirate alle cucine orientali), oppure puntando su un menu più vegetariano.

Potremmo ad esempio preparare un semplice pollo al forno con patate, uno spezzatino di maiale con patate e piselli, un pollo teriyaki con salsa giapponese, o stravolgere la tradizione e proporre un piatto elaborato a base di pesce, come un rotolo al salmone in crosta o delle sfiziose cotolette di sarde. Se vogliamo rinunciare alla carne tout court, invece, possiamo dar spazio alla creatività con infinite soluzioni vegetariane, come le polpette di melanzane alla napoletana, una ricca frittata di patate e asparagi oppure con asparagi con l’uovo alla Bismarck.

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