Per i genitori, andare al ristorante con i bambini è molto complicato e a volte imbarazzante, perché il comportamento dei pargoli è difficilmente prevedibile e può capitare che il contesto e i tempi di attesa possano annoiare o irritare il piccolo. A sua volta, ciò si traduce in fastidi e problemi per il gestore del locale e per gli altri clienti, che possono essere poco propensi a tollerare schiamazzi, rimproveri e altre piccole monellerie provenienti dal tavolo vicino: ecco perché si sta diffondendo la moda del ristorante child-free, ovvero di locali preclusi ai minori di una certa età. Questo è tutto ciò che abbiamo scoperto su questo fenomeno, compresi anche gli aspetti legali e le controversie.
Ristoranti childfree, cosa sono e come funzionano
Come suggerisce l’espressione inglese, un ristorante child-free è un locale in cui i bambini piccoli non sono ammessi; per estensione, viene così definito un locale pubblico di vario tipo (ristoranti, ma anche hotel e bed and breakfast, resort, stabilimenti balneari e termali, caffetterie eccetera) che non accetta clienti al di sotto di una specifica fascia di età, generalmente 16 o 14 anni; nei casi meno rigorosi, le famiglie con bambini e ragazzi possono entrare solo fino a una certa ora.
Il motivo dietro questa strategia imprenditoriale, che ha avuto origine negli Usa e poi si è diffuso un po’ in tutto il mondo, è da ricercare nelle “conseguenze pericolose” dell’avere bambini come clienti e ospiti a cena: urla, schiamazzi, capricci, posate rovesciate e altre problematiche sarebbero infatti frequenti, quando i genitori portano i bambini piccoli al ristorante (e quando questi bambini non sono ben educati o comunque ben “gestiti” da mamme e papà).
Anche se molti bambini sono ben educati e hanno imparato a stare in un ristorante e comportarsi bene, secondo i fautori della esclusione c’è sempre una quota di piccoli che rovina le esperienze degli altri commensali, usciti semplicemente per godere un ottimo pasto e una serata rilassante. Inoltre, la presenza di bambini al tavolo influirebbe negativamente anche sul servizio in sala, sia nel corso della serata che nelle operazioni di pulizia.
E quindi, il trend dei ristoranti childfree nasce dalla sempre meno latente insofferenza di ristoratori e commensali nei confronti della maleducazione di alcuni genitori, incuranti dei fastidi e del disturbo che i propri figli causano alla clientela e all’ambiente circostante. In tal senso, vietare l’ingresso ai bambini è un modo per preservare la qualità e l’atmosfera del ristorante e, al tempo stesso, salvaguardare la “sanità mentale” del personale e degli altri ospiti, che così possono effettivamente vivere un’esperienza rilassata, tranquilla e serena.
Ristoranti senza bambini e solo per adulti: controversie e polemiche
La moda dei ristoranti childfree ritorna ciclicamente tema di attualità anche in Italia, dove però queste soluzioni sembrano ancora limitate e piuttosto occasionali – ad esempio, ha fatto “storia” il caso di un ristorante romano che all’ingresso salutava gli ospiti con un cartello che riportava il disclaimer “Non è gradita la presenza di bambini minori di cinque anni a causa di episodi spiacevoli dovuti alla mancanza di educazione”.
La situazione è un po’ diversa all’estero, dove ad esempio ci sono vari esempi di ristoranti senza-bambini, sia negli Stati Uniti che in Europa (in Svezia moltissime strutture non accettano clienti under 12, mentre a Berlino si stanno moltiplicando alberghi e caffè kinder verboten), e più in generale iniziano a limitare l’accesso ai bambini anche negozi e voli aerei.
Non tutti però sono d’accordo con questa filosofia così rigorosa contro i bambini: se è vero che proprietari e frequentatori di ristoranti senza figli possono essere favorevoli all’introduzione di tali regole, secondo molti osservatori rendere un ristorante senza bambini è discriminatorio e ingiusto nei confronti dei genitori e degli stessi piccoli, che in fondo sono la parte “lesa” di tutta la situazione.
Al di là del proprio punto di vista sul divieto di ingresso ai minori, infatti, dovremmo ricordarci che i piccoli non scelgono di andare al ristorante (o in un altro locale), ma assecondano inevitabilmente le decisioni dei genitori. Inoltre, altro elemento da non dimenticare mai è che i bambini sono bambini, e quindi si comportano istintivamente e naturalmente in modo adeguato alla loro età.
Sta quindi ai genitori analizzare preventivamente se un locale è adatto ai propri figli, se offra spazi idonei e un menu che possa rispondere alle necessità del piccolo, e al tempo stesso cercare di valutare se il proprio bambino possa effettivamente restare “fermo e immobile” per alcune ore al tavolo, senza disturbare gli altri commensali e senza rovinare l’esperienza ai genitori stessi (che ovviamente possono studiare varie tecniche per allontanare la noia, come ad esempio l’uso dello smartphone o altri strumenti ludici). Insomma, i genitori dovrebbero studiare la situazione cercare di evitare uno stress inutile ai bambini, agli altri clienti, al ristoratore… e anche a loro stessi!
Ristoranti child-free, cosa dice la legge
Le posizioni sul tema sono comunque molteplici e non si possono esaurire in questa analisi rapida, ma c’è comunque un altro aspetto da conoscere, ovvero quello burocratico. In Italia, infatti, i ristoranti childfree sono fuori legge, nel senso che le norme vigenti non prevedono espressamente la possibilità di limitare l’accesso al locale a clienti di particolari fasce d’età.
Per la precisione, come stabilisce l’articolo 187 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza redatto nel 1944, “gli esercenti non possono, senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo”. E l’età – o le possibili conseguenze dell’età, come gli schiamazzi e il disturbo – non sono ritenute discriminanti valide per rifiutare il servizio (mentre, ad esempio, un esercente deve astenersi dal somministrare bevande alcoliche ai minori di 16 anni)
In definitiva, dunque, qualunque proprietario di un esercizio pubblico e nella fattispecie qualsiasi ristoratore che rifiuti di svolgere la prestazione verso una clientela discriminata su base anagrafica rischia di eseguire un’azione illegale, priva di fondamento giuridico e per questo addirittura punibile dalla legge.