Da cinque anni, il 5 febbraio è un giorno importante per sensibilizzare su un tema molto delicato e che, purtroppo, appare ancora troppo serio e ragguardevole: in questa data infatti ricorre la Giornata contro lo spreco alimentare, ideata ed istituita nel 2014 dal Ministero dell’ambiente in collaborazione con la campagna Spreco Zero e Università di Bologna – Distal.
Lo spreco alimentare in Italia
In occasione della sesta celebrazione di questa giornata di lotta alle cattive abitudini in campo alimentare, gli organizzatori della manifestazione hanno diffuso dei nuovi studi che rivelano i numeri dello spreco di cibo in Italia e nel Mondo, che appaiono davvero agghiaccianti. Soltanto nel nostro Paese, infatti, si stima che questo fenomeno raggiunga la portata di 149 chili pro-capite l’anno, derivanti in larga parte dagli sprechi alimentare a livello domestico, che rappresentano il 42 per cento del totale e costano oltre 25 euro al mese a famiglia e, dunque, più di 300 euro in un anno. Questo significa che ogni anno finiscono nella spazzatura quasi 20 milioni di tonnellate di prodotti alimentari, che avevano un valore di circa 37 miliardi di euro.
Gli alimenti più sprecati in Italia
Per quanto riguarda l’Italia, l’Osservatorio sugli sprechi ha realizzato una sorta di classifica dei prodotti più sprecati nelle nostre case: in testa ci sono i latticini (32 per cento), seguiti da carne (30 per cento), uova (29 per cento), pasta e pane (28 per cento), prodotti ortofrutticoli (17 per cento) e pesce (15). Oltre che in casa, gli alimenti sono “sprecati” anche nella fase produttiva e in quella distributiva: nel primo caso, si fa riferimento soprattutto alla filiera agroalimentare (ad esempio, prodotti lasciati marcire nei campi o deperiti durante l’immagazzinamento), mentre nell’altro il problema è la trasformazione industriale (ad esempio, prodotti scartati perché non adatti a livello di marketing a causa di difetti di vario tipo, anche estetico).
Passi in avanti nel nostro Paese
Secondo altre fonti (e in particolare la Fondazione Barilla Center for Food e Nutrition), la situazione in Italia ha una portata differente: nella fotografia diffusa in questi giorni, il gruppo stima che lo spreco alimentare nel nostro Paese sia diminuito a 65 chili di cibo/anno pro capite, e diverse sono anche le percentuali relative ai prodotti gettati. In particolare, ogni anno finirebbero in spazzatura “il 30% dei cereali prodotti, il 35% del pesce pescato, il 45% di frutta e verdura coltivata, il 20% dei prodotti lattiero-caseari e il 20% della carne”. Il miglioramento del fenomeno in Italia deriverebbe anche dalla legge Gadda del 2016, che ha limitato “gli sprechi, promuovendo la redistribuzione delle eccedenze e dei beni inutilizzati per fini di solidarietà sociale, con un aumento delle donazioni del +21% nel primo anno di vita della legge (con differenze tra le zone d’Italia dove il terzo settore e le aziende erano più sensibili)”.
Le cause dello spreco alimentare domestico
Le analisi realizzate in questi anni hanno anche evidenziato quali sono le più frequenti cause dello spreco alimentare, che si “dividono” tra fattori imputabili alla domanda e quelli invece legati all’offerta. Ad esempio, vengono citate le date di scadenza troppo rigide (che quindi spingono i consumatori a gettare alimenti potenzialmente consumabili) o le promozioni che spingono i clienti a comprare più cibo del necessario, ma ci sono anche il mancato rispetto delle indicazioni riportate in etichetta sulla corretta modalità di conservazione degli alimenti, la tendenza a servire porzioni di cibo troppo abbondanti e, non ultimo, le cattive abitudini di spesa da parte delle persone.
Anche in Europa lo spreco alimentare è un problema
Allargando lo sguardo all’Europa, la media continentale è addirittura superiore, perché arriva a 180 chili all’anno pro-capite; la nazione più sprecona sono i Paesi Bassi, dove ogni anno si gettano 579 chili di cibi pro-capite anno, mentre i cittadini più virtuosi sono in Grecia, dove la quota scende a 44 chili. Tuttavia, questo fenomeno si lega strettamente alla crisi economica, che spinge a ridurre la quota di acquisti e, di conseguenza, di sprechi: difatti, nel periodo peggiore della crisi gli sprechi alimentari in Italia sono calati addirittura del 57 per cento rispetto agli anni precedenti, grazie a un approccio alla spesa più razionale e oculato.
Le conseguenze degli sprechi alimentari
Abbiamo citato l’aspetto economico e il danno finanziario che deriva dagli sprechi alimentari, ma in realtà gli effetti di questi comportamenti eccessivi sono molto più vasti e interessano l’intera società. Innanzitutto, come rivelano gli studi di settore, salvando o recuperando la totalità del cibo che finisce nella pattumiera in Italia si potrebbero sfamare 44 milioni di persone, mentre a livello mondiale si potrebbero nutrire quasi 2 miliardi di persone. Se pensiamo che la denutrizione è una tragedia che colpisce più di un miliardo di persone, si comprende che soltanto cambiando abitudini si potrebbe dare una svolta importante e salvifica. Allo stesso modo, lo spreco alimentare è illogico anche perché genera l’aumento dell’impoverimento, della produzione di rifiuti e di conseguenza della crisi ambientale: gettare il cibo significa sprecare anche la terra, l’acqua, i fertilizzanti e le emissioni di gas che sono stati necessari per la sua coltivazione e produzione.
I consigli per evitare sprechi alimentari
Insomma, il messaggio è chiaro: ridurre lo spreco alimentare può aiutare non solo le nostre tasche, ma anche salvare il Pianeta e contribuire a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale perseguiti a livello mondiale. Per questo, in molti Paesi sono sorte organizzazioni e iniziative di intervento che cercano di insegnare i principi di riduzione e recupero dei prodotti alimentari non più vendibili ma ancora commestibili, oppure si concentrano sull’ottimizzazione della fase produttiva, con interventi di Organizzazioni non governative o degli stessi Governi, soprattutto in zone in via di sviluppo. Nei Paesi maggiormente industrializzati come l’Italia, invece, l’aspetto su cui bisogna lavorare è la corretta educazione del consumatore che possa portare a una modifica delle abitudini errate che rappresentano la causa principale dello spreco alimentare. Ecco dunque un decalogo per imparare a sprecare meno cibo ogni giorno.
Il decalogo contro lo spreco di cibo
Anche noi nel nostro piccolo possiamo dare un contributo alla lotta contro gli sprechi in campo alimentare, partendo da un presupposto “filosofico”: ridurre il fenomeno è possibile se impariamo a restituire valore al cibo e a chi lo produce. In termini pratici, le dieci facili regole da seguire per evitare sprechi e cibi gettati nella spazzatura sono i seguenti:
- Compilare una lista della spesa e comprare solo quanto effettivamente necessario.
- Privilegiare l’acquisto di alimenti locali e di stagione.
- Leggere e capire bene etichette e scadenze.
- Conservare attentamente gli alimenti, non riporli alla rinfusa e utilizzare bene frigo, freezer e dispensa.
- Separare i cibi che andranno consumati in tempi diversi e dividere anche le diverse varietà di frutta e verdura comprate.
- Non servire porzioni eccessive a tavola.
- Se ci sono avanzi o scarti di preparazioni, utilizzarli imparando l’arte della cucina di recupero.
- Usare meno prodotti trasformati.
- Chiedere la “doggy bag” o la “family bag” al ristorante senza vergognarsi.
- Imparare a fare la raccolta differenziata, soprattutto per i rifiuti umidi che possono essere reimpiegati.
A questi si aggiunge un altro consiglio che arriva dall’Istituto Italiano Alimenti Surgelati, che invita a privilegiare proprio i prodotti surgelati, definiti ” i più grandi nemici dello spreco alimentare” grazie a diversi fattori, come la lunga durata di conservazione, la riduzione degli scarti, la limitazione del consumo di acqua domestico e la minore oscillazione di prezzo. Secondo il presidente di IIAS, Vittorio Gagliardi, “un maggiore consumo domestico di prodotti surgelati, rispetto agli analoghi a temperatura sopra lo zero, potrebbe contribuire ad abbattere gli sprechi in cucina fino al 47%”.