Camerieri, chef e pizzaioli non si trovano: cosa sta succedendo e perché

I settori dell’accoglienza e della ristorazione sono (finalmente) ripartiti dopo le lunghe fasi di stop-and-go (per usare una terminologia da Formula 1) causate dalla pandemia, così come anche le attività balneari: tuttavia, i problemi per questi comparti non sembrano ancora finiti, perché da settimane è partito l’allarme sulla difficoltà di trovare personale per le varie strutture. Ma cosa sta succedendo davvero e perché è così difficile assumere camerieri, chef, pizzaioli e altre figure professionali impegnate in queste attività?

Lavoratori stagionali, l’allarme del settore

In Italia mancano camerieri, addetti alle sale ristoranti e alle cucine, impiegati delle reception, sommelier, ma anche bagnini e addetti alle spiagge: è questo l’allarme che arriva dagli imprenditori e dalle associazioni di categoria, con Federalberghi che stima un “buco” di almeno 200mila operatori nel settore viaggi e ospitalità, pari ad un calo del 50-75% di disponibilità di lavoratori stagionali per l’estate 2021.

Secondo l’Osservatorio Inps sul precariato, lo scorso anno sono andati in fumo quasi mezzo milione di contratti a termine, soprattutto nei settori del commercio, dell’alloggio e della ristorazione (-371.000), mentre le cessazioni dei rapporti stagionali e dei contratti intermittenti sono state oltre 200mila.

La situazione è stata già definita il “paradosso della pandemia”: da un lato, dopo i circa 16 mesi tra lockdown, ondate varie, chiusure e restrizioni si sono registrate 22 mila imprese in meno secondo il Rapporto Fipe 2020, con una perdita di 514 mila posti di lavoro nei settori “alloggio e ristorazione”. Dall’altra parte, però, questa precarietà ha dissuaso le giovani leve, che sono timorosi di dedicarsi a una professione che avvertono “precario” come mai in precedenza, a maggior ragione nel periodo estivo.

chef lavoro

Le cause delle difficoltà nel trovare lavoratori stagionali

E così, entrati quasi nel pieno della stagione turistica e con il ritorno nelle nostre città anche degli ospiti stranieri, sembra proprio che gli imprenditori facciano fatica a trovare i lavoratori stagionali da impiegare nelle attività turistiche, e ancor di più a reperire persone che siano adeguatamente preparate e formate per prendere il ruolo di figure portanti dello staff.

Le cause della carenza di personale stagionale sono molteplici: c’è chi ha accusato la politica (che non ha investito abbastanza in passato né nel presente per formare le professionalità necessarie al settore), chi invece ha addossato le responsabilità ai lavoratori stessi, e chi invece ha cercato di spiegare la situazione con uno sguardo più oggettivo e ampio.

Probabilmente, il problema nasce da una serie di concause: innanzitutto, i vecchi lavoratori del settore (sia stagionali che a tempo indeterminato) hanno cercato in questi mesi di incertezza e di inattività una ricollocazione in un altro settore che potesse garantire maggior continuità o sicurezza; altri sono emigrati, e altri ancora hanno scoperto (o riscoperto) il valore del tempo da trascorrere con la propria famiglia, mettendo in discussione un sistema poco sostenibile, solitamente fatto di turni di lavoro massacranti (e a volte fuori dalle regole).

Colpa dei sostegni statali?

Come dicevamo, tra le “colpe” della carenza di lavoratori nel settore ristorazione c’è anche chi ci vede il reddito di cittadinanza, un sussidio “facile” rispetto al lavoro faticoso che aspetta in brigate, hotel o spiagge, o ancora altri sistemi di sostegno legati al Covid.

Questa lettura è però molto di parte, perché scarica tutte le responsabilità sui lavoratori, “rei” di scegliere una via più comoda; in realtà, da un punto di vista finanziario non ci sarebbe neppure competizione tra il reddito di cittadinanza e un contratto, perché in base agli accordi di categoria lo stipendio base di un cameriere dovrebbe essere di 1.400 euro, ma la realtà è fatta di contratti di lavoro nazionali che non vengono rispettati né nella retribuzione né per l’orario di lavoro settimanale e il giorno di riposto.

In parole povere, il lavoro nel settore dell’accoglienza è poco attrattivo e scarsamente retribuito, precario, sfruttato, come non mancano di sottolineare i sindacati, e quindi sembra quanto mai valido il consiglio dato dal Presidente degli Stati Uniti d’America agli imprenditori locali alle prese con un problema simile, ovvero “pagate di più” i dipendenti.

I numeri delle offerte di lavoro nel settore

La fotografia di questa difficoltà nel trovare camerieri e altre figure professionali da impiegare immediatamente nel settore di ristorazione e accoglienza arriva da alcune piattaforme del settore lavoro.

In particolare, Openjobmetis, prima e unica Agenzia per il Lavoro quotata in Borsa italiana, rivela che quest’anno la domanda di lavoratori cosiddetti stagionali è salita del 75% rispetto a quella del 2020, segno di un recuperato fermento del mercato del lavoro, trasversale ad alcuni dei settori chiave dell’economia italiana.

La quantità maggiore di posizioni lavorative è ricoperta dal settore alberghiero e della ristorazione, con circa tremila richieste pervenute a Openjobmetis in tutta Italia per il recruitment di camerieri, addetti alla sala, aiuto cuochi e pizzaioli, che rappresentano alcuni dei ruoli più richiesti da hotel, agriturismi e strutture ricettive per rilanciare l’offerta di hospitality in Italia.

Secondo LavoroTurismo, la carenza di personale sfiora il 20% rispetto alle richieste, o fino al 30% in mestieri da 2.500 o tremila euro al mese come i vicecuochi o i capisala. La difficoltà nel reclutare questi profili è così sentita che alcune aziende hanno iniziato a offrire di più, pur di assicurarsi gli addetti dall’inizio dell’estate.

Su JobTech, infine, ci sono quasi 5.000 candidature solo per le professioni di camerieri, addetti alle pulizie, lavapiatti, hostess, chef e bartender.

pizzaiolo

Impieghi nella ristorazione, problemi che tornano a galla

Non è certo la prima volta che torna a galla il problema degli stagionali per il settore dell’accoglienza, e sicuramente ora il post-Covid rende la situazione ancora più complessa.

Tuttavia, almeno fino a prima della pandemia, il settore del turismo non era proprio in caduta libera come invece a volte si è letto, e le stime di Federalberghi su dati Inps rivelano, ad esempio, che tra il 2018 e il 2019 il lavoro dipendente nel settore turismo era aumentato di quasi 58mila unità, con un incremento di 4,7 punti percentuali.

Ancora più precisa i calcoli della Fipe – Federazione italiana dei pubblici esercizi – che stimavano in quasi un milione (925mila) i lavoratori dipendenti in bar, ristoranti, discoteche e stabilimenti balneari nel mese di agosto 2019, il 60% con contratti part time; il numero saliva a 1,3 milioni con gli indipendenti, anche se per “un imprenditore su quattro resta difficile reperire le figure professionali richieste” (già nel 2019).

Giovanni Cafagna, fondatore di Anls (il primo sindacato dei lavoratori stagionali), ha spiegato a Open le cause della fuga dei lavoratori stagionali del comparto, una “bolla scoppiata quest’anno, ma che si stava gonfiando già dal 2015”: un insieme di paghe basse (che solitamente partono da un minimo di 500 euro), orari di lavoro mai rispettati (le 40 ore settimanali sono solo sulla carta, perché in pratica si lavora sette giorni su sette, anche per 70-80 ore a settimana) e, non ultimo, impatto della Naspi  (introdotta nel 2015 dal Governo Renzi) che ha di fatto dimezzato l’indennità di disoccupazione, portandola a un massimo di 3 mesi che lascia quindi “scoperti” i mesi invernali.

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