Zeppola di San Giuseppe: storia e origine di un dolce centenario

Sono un must per la festa di San Giuseppe del 19 marzo – una delle ricorrenze più sentite nella cristianità occidentale perché celebra il padre (seppur putativo) di Gesù, non casualmente diventata poi data anche della festa del papà (per lo meno in Italia, Spagna, Portogallo e altri Paesi) – e sono sostanzialmente dei bignè di pasta choux di dimensioni variabili, cotti in frittura o al forno e guarniti con una morbida crema pasticcera sormontata da tradizione da un’amarena sciroppata. Già da questa descrizione dovrebbe essere chiaro che parliamo delle golosissime zeppole di San Giuseppe, un dolce di tradizione secolare che conquista al primo sguardo e al primo morso.

Come sono nate le zeppole?

Prima di diventare uno dei simboli gastronomici della festa di San Giuseppe del 19 marzo, le zeppole avevano già una lunga storia alle spalle: secondo le ricostruzioni, i primi esempi di dolci di preparazione e forma simile risalgono alla metà del Quattrocento, quando un viaggiatore egiziano in Tunisia descrive la mujabbana, un impasto fritto ripieno di formaggio e cosparso di zucchero.

La specialità si è poi diffusa nell’intero bacino mediterraneo, sbarcando anche sulle coste italiane, e difatti ancora oggi le regioni Meridionali hanno una grandissima tradizione nella preparazione di vari dolci chiamati “zeppole” o basati sugli stessi ingredienti, come gli sfinci siciliani. Nella stessa città di Napoli e in tutta la Campania, luoghi in cui le zeppole di San Giuseppe sono probabilmente nate, ci sono almeno altre tre preparazioni che condividono queste caratteristiche: la semplice “zeppola” (impasto di farina con acqua e sale, poi passata nello zucchero), la “zeppola pastacrisciuta” (simile alla precedente, solitamente ricavata da un impasto di pasta lievitata e condita con aggiunta di sale e formaggio grattugiato) e la graffa, la ciambella fritta derivata dal krapfen.

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Che origine ha la zeppola di San Giuseppe?

Bisogna arrivare alla seconda metà del Seicento per la diffusione della ricetta della pasta choux, che è come detto la base della attuale zeppola di San Giuseppe, ma già un secolo dopo, nel Settecento, questo dolce è “abbinato” alla memoria dell’importante personaggio del Vangelo.

All’epoca, infatti, i friggitori (che, come i falegnami, hanno in San Giuseppe il loro santo patrono) allestivano dei banchetti davanti alle loro botteghe in occasione della giornata di festa, friggendo e servendo al momento le zeppole ai clienti – una tradizione descritta anche da Goethe, che visitò la città partenopea alla fine del 1700.

Arriviamo così all’Ottocento, quando il noto fornaio e pasticcere ante-litteram Pasquale Pintauro (già protagonista della creazione, o quanto meno della diffusione, delle sfogliatelle) rende popolare la tradizione di mangiare le zeppole nel giorno di San Giuseppe rivisitando le antiche frittelle romane o lo street food degli zeppolari, anche se il suo dolce aveva una crosta più croccante, simile a quella delle stesse sfogliatelle – un impasto arricchito con uova, strutto e aromi e fritto due volte, prima in olio bollente e poi in strutto.

Chi ha inventato le zeppole di San Giuseppe?

Pintauro non avrebbe quindi inventato la ricetta delle zeppole di San Giuseppe, la cui origine resta ancora oggi oggetto di varie ipotesi.

Secondo le ricostruzioni, l’invenzione di questo dolce (o almeno, della forma definitiva con cui lo conosciamo oggi) sarebbe da ricercare negli ambienti dei conventi del centro storico di Napoli, e in particolare alle suore del convento di San Gregorio Armeno, a quelle del Convento di Santa Patrizia, alle monache della Chiesa della Croce di Lucca o a quelle che vivevano all’interno del Complesso di Santa Maria dello Splendore, che erano solite omaggiare le festività sperimentando la realizzazione di un nuovo dolce.

Di sicuro, risale invece al 1837 la prima ricetta scritta delle zeppole di San Giuseppe, presenti nel noto trattato di cucina napoletana “Cucina teorico-pratica” di Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, che rappresenta il primo compendio di ricette tipiche della gastronomia napoletana.

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Perché si chiamano zeppole di San Giuseppe?

Non sono solo le origini del dolce a essere complesse e dibattute, ma anche il nome: l’ipotesi più probabile sul perché si chiamano zeppole di san Giuseppe rimanda appunto all’usanza dei friggitori di preparare questa specialità in omaggio al loro Santo protettore, ma c’è anche una leggenda che chiama in causa lo stesso Giuseppe.

Avvertito dall’angelo della persecuzione del re Erode contro il “nascituro re dei Giudei”, come narrato nei Vangeli Giuseppe fuggì in Egitto insieme a Maria e al piccolo Gesù, abbandonando quindi la sua attività di falegname nella terra natia: per sostenere la famiglia nel nuovo paese (o per sfamarli nel corso del viaggio, qui le fonti divergono), Giuseppe si sarebbe reinventato friggitore e avrebbe creato tra l’altro anche il dolce che successivamente prende il suo nome.

Più storica, invece, è un’altra teoria sulle origini del nome zeppola di San Giuseppe, che rimanda alla tradizione delle “Liberalia” nell’antica Roma, celebrazioni in onore delle divinità di Bacco e Sileno caratterizzate da abbondanti libagioni e dalla preparazione di frittelle di frumento per ringraziare il dio del grano. Questa festa segnava il passaggio dall’inverno alla primavera, proprio come avviene attualmente con il giorno del 19 marzo con San Giuseppe.

Allargando il discorso, anche l’etimologia zeppola è incerta e ci sono varie spiegazioni sul suo significato e sulle sue origini. Probabilmente deriva dal latino serpula (serpe) in richiamo alla forma di serpe arrotolata che ha il dolce, ma c’è anche chi propone  la variante saeptula (dal verbo che significa cingere) che designava gli oggetti di forma rotonda in genere, oppure cymbala, nome di una vecchia imbarcazione fluviale caratterizzata da fondo piatto ed estremità arrotondata, praticamente come una ciambella.

Più particolari le ultime due teorie sul termine zeppola: potrebbe derivate da cippus, il pezzo di legno usato come zeppa per risolvere piccoli problemi di slivellamento a cui finisce per somigliare la zeppola di pasta cresciuta (e quindi poi per estensione tutte le preparazioni simili), oppure (l’ipotesi più remota) potrebbe essere una crasi di Zi’ Paolo, il nome di un misterioso friggitore napoletano che sarebbe l’inventore della zeppola secondo questa tesi.

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Perché si fa la zeppola di San Giuseppe?

Non abbiamo certezze quasi su nulla, rispetto a questo goloso dolce, tranne che su un aspetto: le zeppole di San Giuseppe sono una prelibatezza immancabile per celebrare la festa del papà, omaggiando anche il padre più famoso della storia.

I motivi della sua diffusione sono semplici da capire: nella sua semplicità, la zeppola è una specialità che conquista i palati di tutti. L’impasto è composto da pochi ingredienti, ovvero farina, zucchero, uova, burro e olio d’oliva, uniti per creare la morbida pasta choux tipica dei bignè, a cui si aggiunge abbondante crema pasticcera torreggiate da amarene sciroppate, che creano anche un bell’effetto cromatico di contrasto. Classicamente sono di dimensioni grandi – ben superiori di quelle dei classici bignè da mangiare in un sol boccone, anche se c’è chi le prepara anche in formato mignon – e sono cotte in frittura, ma sono molto diffuse anche le zeppole di San Giuseppe al forno, una variante un po’ più leggera ma di certo altrettanto golosa.

Negli ultimi anni, poi, alcune pasticcerie che si vogliono discostare dalla tradizione pura propongono delle varianti: la più semplice prevede una farcitura interna della zeppola con crema pasticcera (nella ricetta classica la crema è posta solo sulla sommità della pasta), mentre le alternative più rivoluzionarie sostituiscono la storica crema con panna o crema gianduia.

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