Se non siete sardi difficilmente riuscirete ad intuire il significato di queste due parole: “Casu Marzu”.
Il Casu Marzu, anche conosciuto come Casu Fràzigu, è un tipico formaggio sardo il cui nome non lascia spazio all’immaginazione sul suo particolare processo di formazione. Casu Marzu in italiano significa infatti formaggio marcio, fràzigu invece è fradicio, in pratica stiamo parlando di un formaggio che in fase di stagionatura viene lasciato intenzionalmente infestare dalle larve della Piophila casei, una piccola mosca casearia. Un formaggio coi vermi.
Amato dai sardi e non, questo formaggio è stato inserito nel libro del Guinness dei Primati 2009 come formaggio più pericoloso del mondo. Sembrerebbe che eventuali larve ancora vive, sopravvissute all’azione di succhi gastrici, potrebbero provocare dolori addominali, diarrea sanguinolenta e vomito. L’Unione Europea ne ha invece proibito la produzione e la sua commercializzazione a causa delle norme igienico-sanitarie.
La produzione del Casu Marzu
Per produrre il Casu Marzu serve innanzitutto il latte di pecora. La cagliata, rapidamente cotta e separata dal siero, viene fatta stagionare fino alla formazione della sua prima crosta. E’ a quel punto che il formaggio verrà inciso e si aggiungerà del latte fresco o dell’olio di oliva per rendere la sua consistenza più cremosa e per attirare maggiormente gli insetti. Nel pungere la forma per depositare le proprie uova (circa 500 in una sola seduta), la piccola mosca morirà poco dopo terminando il proprio ciclo vitale. Saranno le larve prodotte dalle uova che continueranno il lavoro una volta schiuse, cibandosi della pasta del formaggio e donando i loro enzimi per creare il formaggio in una crema morbida. E’ un processo molto lungo che va dai tre ai sei mesi, in cui il formaggio dovrà essere riposto in un luogo areato e totalmente al buio, e senza il quale non esisterebbe il Casu Marzu.
Come tutelare il Casu Marzu
Per salvaguardare la produzione di questo formaggio, il casu marzu è stato inserito tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani del Ministero delle Politiche Agricole nel 2004. Un modo utilissimo questo per raggirare la denominazione di formaggio più pericoloso al mondo attribuitagli ed il divieto di commercializzazione imposto dall’Unione Europea, consentendo così una deroga sulle norme igienico-sanitarie. D’altronde fin ora non è stato riscontrato alcun problema di salute da parte di chi ha assunto questo formaggio, ecco perché i suoi produttori e l’Università di Sassari stanno collaborando assieme per la possibilità di creare allevamenti di Piophila casei controllati.