Per molti è un vero e proprio rito, l’atto conclusivo di un buon pasto, e le sue origini sembrano risalire a un passato in cui, evidentemente, il caffè non era buono come ai giorni nostri: parliamo dell’ammazzacaffè, il classico bicchierino di liquore che segue appunto il caffè e serve letteralmente ad ammazzarne il sapore e ripulire la bocca.
Che cos’è l’ammazzacaffè
Secondo il dizionario Treccani è il “vino o liquore che si beve dopo il caffè, specialmente alla fine d’un pranzo”, ma questa freddezza non racconta tutta la ritualità che sta dietro al termine ammazzacaffè, che è qualcosa in più del classico bicchierino di liquore o digestivo che si beve al termine di un pasto.
Bere l’ammazzacaffè dopo un pranzo o una cena abbondanti è un modo per prolungare la convivialità del momento e ritardare il momento dei saluti, infatti, ma è anche un atto pratico che consente di “alleggerirsi” grazie a un bicchiere di grappa, amaro, sambuca o altro, che aiutano appunto a favorire la digestione dopo aver mangiato di tutto e di più, dall’antipasto al dolce.
E quindi, tornando alla definizione, ammazzacaffè è qualsiasi liquore bevuto a fine pranzo per cancellare, o ammazzare, il sapore del caffè con qualcosa di decisamente più forte, un bicchierino alcolico che possa ripulire la bocca dall’aroma di un espresso.
Ammazzacaffè storia e origini
La tradizione di bere un liquore al termine di un pasto ha origini molto antiche, che precedono l’introduzione del caffè in Europa (i primi bar caffè nel Vecchio Continente risalgono alla metà del Seicento): secondo gli storici, infatti, la diffusione dell’arte liquoristica anche a fine pasto si deve a Caterina De’ Medici, consorte del re di Francia che già dal 1523 portò alla corte di Parigi alcune produzioni dei liquoristi italiani, che risultarono parecchio apprezzate.
Proprio i nobili e gli aristocratici – di sesso prettamente maschile – furono i primi a concedersi il lusso di gustare una versione primordiale di ammazzacaffè: terminata la cena, gli uomini si alzavano dal tavolo e si spostavano in un’altra stanza per trascorrere altri momenti compagnia, fumando sigari e assaporando appunto liquori come cognac o brandy.
L’odierno ammazzacaffè nasce quindi come assimilazione popolare di questa abitudine, proposta anche al pranzo: in effetti, oggi i ristoranti e le pizzerie non mancano di offrire una buona lista di liquori e amari da portare in tavola su richiesta, che permettono ai clienti di eliminare dal palato il sapore del caffè (ma soprattutto di tutte le pietanze consumate) e di concedersi un ultimo piacere prima di uscire dal locale.
Il rito dell’ammazzacaffè
È certamente curioso che si senta la necessità di ammazzare il gusto del caffè, una delle bevande più amate dagli italiani: consumarlo è spesso un atto di convivialità, il suo aroma pervade la casa ed è evocativo e poetico, il suo gusto genera una vera e propria scossa energetica e rappresenta un piacere per il palato. Eppure, c’era un tempo in cui probabilmente non era così apprezzato o non era così buono, tanto che era necessario bere sambuca, amari o grappe (oppure il classico bicchiere d’acqua che si serve a Napoli in accompagnamento al caffè al bar, ad esempio) per rimuoverne il sapore dal palato e far svanire il suo retrogusto.
Oggi l’ammazzacaffè non è più una necessità, ma un piacere che ci possiamo concedere al ristorante o a casa, e da tradizione il liquore può essere versato anche direttamente nella tazzina di caffè per risciacquare immediatamente il palato.
Gli ammazzacaffè preferiti dagli italiani
Ci sono vari liquori, distillati e amari che si contendono il ruolo di perfetto ammazzacaffè, e si va da tesori della tradizione culinaria italiana a produzioni più di massa: sambuca, grappa, limoncello, centerbe fatti in casa, amari alle erbe sono solo alcuni dei possibili “fine pasto”, a cui si aggiungono cognac, brandy, whisky, anice, mirto, laurino, cerasella, nocino, arancello e altri ancora.
Che sia commerciale o casalinghi, ciò che chiediamo a un ammazzacaffè è di possedere miscele di erbe e aromi che siano favorevoli alla digestione, e quindi di essere realmente un digestivo: anche se questo termine si estende a comprende anche alcuni infusi, tisane o farmaci con proprietà eupeptiche, in ambito di alcolici fa riferimento a prodotti con erbe medicinali, spezie esotiche o scorze di agrumi (infuse o per distillazione) che agevolano una buona digestione, soprattutto al termine di pasti luculliani.
Tra gli ammazzacaffè preferiti dagli italiani c’è sicuramente la Grappa, un distillato di vinacce d’uva esclusivo proprio del nostro Paese, declinata in tante varianti; molto diffusa anche la Sambuca, dal colore puro e trasparente che si abbina a un gusto dolce e pungente di anice stellato, mentre al Sud si preferiscono un limoncello oppure il classico anice (spesso aggiunto direttamente alla tazzina di caffè, per quella che in napoletano si chiama presa d’annese).
Molto vasta la scelta anche tra gli amari, da sempre apprezzati come veri e propri elisir digestivi dalle proprietà terapeutiche, dove in pratica ogni regione ha le proprie eccellenze e le proprie predilezioni: tra i marchi industriali possiamo ricordare il Vecchio Amaro del Capo, l’Amaro Lucano, ma anche Cynar, Fernet Branca e Braulio, ma spesso si servono e consumano come ammazzacaffè anche distillati casalinghi prodotti dall’unione di alcol ed erbe officinali (talvolta fino a 40), che riescono sicuramente a cancellare il gusto dell’espresso.. e spesso anche dell’intero pasto consumato!