Allevamenti sostenibili: vediamo insieme di cosa si tratta e che futuro ci sarà

Non c’è più tempo da perdere: volendo sintetizzare, parlare di allevamenti sostenibili per la produzione di carne significa cercare soluzioni a un problema che interessa tutti noi e che avrà effetti sul futuro del nostro pianeta. Può sembrare retorica, ma i numeri ci fanno comprendere che la questione è urgente e molto concreta.

Allevamento sostenibile, la strada per un futuro di equilibrio

Un recente studio del Consorzio Aaster ci aiuta a mettere in luce quanto sia importante il ruolo che hanno gli allevamenti, la produzione delle carni e degli alimenti di origine animale rispetto agli equilibri del pianeta. A livello globale, infatti, il 40% della terra arabile è dedicata al pascolo e un terzo della produzione totale di cereali è destinato agli allevamenti.

Impatto ambientale allevamenti, i numeri in Italia

E se queste sono i numeri globali, ancora più urgenti sono gli “effetti” di queste attività perché significativo è l’impatto ambientale degli allevamenti: l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) ha certificato che solo in Italia sono cresciute le emissioni inquinanti di particolato prodotte dagli allevamenti intensivi, e che in generale gli allevamenti sono la seconda fonte di emissione di particolato, dietro solo al settore del riscaldamento e addirittura prima del settore industriale.

Il settore delle carni in Italia

Sempre per completare il quadro statistico, nel nostro Paese il settore delle carni ha un valore di circa 30 miliardi di euro, di cui oltre due terzi provengono dall’industria della trasformazione, che coinvolge 67 mila addetti (una quota del 16% sul totale dell’industria alimentare). E ci sono poi le singole filiere specializzate: ad esempio, la filiera suinicola da sola produce un fatturato di oltre 11 miliardi di euro (di cui 3,4 miliardi per la fase agricola e 8 miliardi per la fase industriale), mentre la filiera della carne bovina ha un valore superiore ai 6 miliardi, pari al 4,4% del fatturato dall’intera industria alimentare nazionale. L’Italia è il quarto produttore europeo di carne bovina, pur avendo perso negli ultimi dieci anni quasi un terzo della produzione, rendendo necessario ricorrere alle forniture estere, più competitive sul prezzo.

Raggiungere la sostenibilità ambientale attraverso nuove modalità di allevamento e produzione

Insomma, bisogna intervenire e agire affinché si diffondano buone pratiche di produzione e allevamento orientate alla sostenibilità, perché solo così si può cercare di offrire un contributo al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale. Un percorso che passa anche dall’alimentazione: secondo la FAO entro il 2050 il consumo di carni nel mondo supererà la soglia di 500 milioni di tonnellate, con i cosiddetti Paesi in via di sviluppo che accentreranno il 75 per cento di questa quota!

Che cosa significa sostenibilità

Ma cerchiamo di capire qualcosa in più rispetto alle tipologie di allevamento, agli impatti ambientali prodotti e ai benefici che producono, sia per la produzione che per il benessere animale. In linea di massima, la zootecnia attuale utilizza tre diversi sistemi zootecnici: estensivo, intensivo e produzioni biologiche, dei quali bisogna verificare la reale compatibilità con il concetto di sostenibilità a livello delle singole aree.

Secondo quanto sancito dalla SAI Platform, la piattaforma internazionale per la sostenibilità agricola, si definisce sostenibile “un’agricoltura capace di produrre efficientemente in modo sicuro e di alta qualità, in maniera tale da proteggere e migliorare l’ambiente naturale, le condizioni sociali ed economiche degli agricoltori, i loro dipendenti e le comunità locali e che salvaguardi la salute e il benessere di tutti gli animali allevati”.

Allevamenti sostenibili, che cosa sono

La crescente consapevolezza di queste problematiche (e anche l’attenzione verso la salute degli animali) ha favorito la diffusione di allevamenti sostenibili, una modalità definita anche di allevamento etico proprio perché bada anche all’etologia dell’animale.

La principale differenza tra il metodo intensivo e questi allevamenti ecosostenibili sta nella concezione di base del processo di produzione: nel primo caso, si punta alla massimizzazione delle risorse e alla concentrazione dei tempi, mentre con i nuovi criteri si cerca di fissare dei criteri più rispettosi del benessere animale applicabili a tutti i tipi di allevamento.

Le regole dell’allevamento etico

Possiamo citare velocemente alcune delle caratteristiche che deve possedere un’azienda che produce in modo sostenibile ed etico: deve usare fertilizzanti naturali, impiegare letame prodotto in azienda opportunamente maturato e destinare agli animali almeno un 50% di cibo prodotto in azienda. Per l’allevamento vero e proprio, poi, bisogna adoperare cure e farmaci prevalentemente naturali, lasciare gli animali in spazi e strutture adeguate e rispettare i comportamenti specifici delle varie specie. Inoltre, è preferibile attuare un allevamento a ciclo chiuso, ovvero completare l’intero ciclo di vita dell’esemplare nella stessa azienda, con trasporto breve e macello a chilometro zero.

In Italia solo 1% di allevamenti carne sostenibili

Secondo alcuni studi, oggi solo una porzione irrilevante degli allevamenti segue questi standard in Italia, meno dell’1% del totale, ma questo non sarebbe un fattore del tutto negativo. Molti esperti rivelano che anche le tipologie di allevamenti non intensivi, come quello biologico, possono comportare un impatto ambientale rilevante, che in determinati casi risulta addirittura superiore a quello generato da sistemi di allevamento intensivo.

Le criticità dell’allevamento estensivo e biologico

Uno dei fattori più critici riguarda lo spazio necessario per tutelare il benessere animale: ad esempio, per una scrofa in un allevamento intensivo servono in genere 1,5 metri quadrati, mentre lo standard biologico impone circa 1.500 metri di spazio. Questo ovviamente fa sorgere una forte problematica dell’uso del suolo, a cui si aggiungono considerazioni tecniche sulla maggiore lentezza nel raggiungere la taglia commerciale degli animali, che ha conseguenze sul maggior consumo di risorse e anche su un maggiore inquinamento.

Allevamento intensivo bovini e altri animali, le caratteristiche

A sostegno di questa tesi c’è stato anche un editoriale pubblicato sulla storica rivista Informatore Zootecnico, in cui Giuseppe Pulina, professore dell’Università degli studi di Sassari, ha ragionato sugli allevamenti intensivi di bovini e altri animali, definendoli paradossalmente più sostenibili rispetto alle altre tipologie.

Con il termine intensivo si fa riferimento a “un’impresa zootecnica ad alta intensità di capitale“, e quindi non è il fattore spazio quello determinante a definire la tipologia. Ad esempio, spiega il docente, “un allevamento plein air con applicate alte tecnologie che richiede per unità di prodotto elevati investimenti e bassi costi del lavoro, è un allevamento capital intensive in cui gli animali sono allevati in grandi spazi; viceversa, un allevamento familiare, con bovine alla catena ma con bassi investimenti e alta incidenza del lavoro sul prodotto finito, è capital extensive, anche se gli spazi per animale sono limitati”.

Comunque, di norma gli allevamenti intensivi “concentrano grandi popolazioni di animali in spazi ridotti“, e questo ha in realtà degli effetti inferiori “sotto il profilo degli impatti per unità di prodotto”, perché una gestione oculata dei liquami e delle lettiere consente di razionalizzare questi allevamenti.

E quindi, anche se gli allevamenti intensivi “sono entrati nel mirino della pubblica opinione perché accusati di tutti i mali”, come “alti impatti ambientali, maltrattamento degli animali, uso sconsiderato di farmaci, condizioni di lavoro impossibili per gli operatori”, in realtà un’analisi sulle statistiche fa emergere che ” dalla metà degli anni ’60 ad oggi, passando dall’estensivo all’intensivo, le emissioni di metano e quelle di ammoniaca (indicatore delle emissioni azotate complessive) si sono notevolmente ridotte”.

La strada per allevamenti sostenibili efficaci

Insomma, la questione è spinosa e probabilmente non esiste ancora un modello di sviluppo ideale e sostenibile al 100 per cento, anche se Walter Falcon, economista agricolo della Standford University, sostiene che “i migliori allevamenti del futuro sono quelli ad alta intensità“.

La strada per una sostenibilità ambientale delle imprese zootecniche passa quindi attraverso maggiori investimenti di capitale tecnologico negli allevamenti, che porti da un lato a maggiore produttività e dall’altro a un ragionamento più consapevole sul trattamento di tutto il ciclo delle biomasse e degli effluenti.

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