Probabilmente tutti abbiamo assaggiato almeno una volta un pezzetto di caciocavallo, uno dei formaggi più famosi, gustosi e caratteristici del Sud Italia, riconoscibile sia alla vista che al palato. Ma c’è un modo ancora più goloso di assaporarne le qualità, seguendo la tradizione del caciocavallo impiccato, che prevede di far sciogliere il formaggio sul fuoco di una brace ardente e di raccogliere la pasta filante su fette di pane abbrustolito. Scopriamo tutto su questo “rito” e accendiamo i riflettori sull’eccellenza del caciocavallo impiccato.
Che cos’è il caciocavallo
Tutto parte dal caciocavallo, un tipo di formaggio a pasta filata prodotto con latte di pecora o di vacca che è tipico praticamente di tutto il Meridione italiano, nelle zone una volta ricadenti nel Regno delle Due Sicilie. Apprezzato per il suo gusto corposo, che può essere dolce o piccante a seconda del caglio utilizzato, questo formaggio si riconosce immediatamente anche per l’aspetto. Il caciocavallo ha infatti forma ovale-rotonda, che ricorda quella di una pera, di una borsa o di una fiaschetta, con due sfere modellate a mano; presenta crosta dura edibile e pasta elastica, ha elevata consistenza e in media pesa tra i 3 e i 5 chilogrammi.
Concentrandoci maggiormente sul gusto – che ricorda un po’ quello del provolone stagionato, parimenti comune nel Sud Italia – questo formaggio ha note aromatiche che assumono spessore col passare della stagionatura, che fa sviluppare sapori piccanti, taglienti e speziati già a partire dal secondo mese. A piena maturità, il formaggio acquisisce intense sfumature terrose e aromi fruttati, e la sua pasta abbandona le sfumature di colore bianco latte (tipiche delle versioni più fresche) per assumere tonalità di giallo più intenso e maggiore sapidità in bocca.
Altra caratteristica importante è la qualità del latte, che è molto nutriente perché proviene da animali che pascolano allo stato brado, che quindi si nutrono di erbe spontanee che danno al formaggio un sapore particolare.
Le origini di questo formaggio: nome, storia, zone di produzione
Il nome del formaggio ha un evidente riferimento equino che gli studi storici non sono riusciti a chiarire del tutto.
Secondo una teoria, dipende dal fatto che anticamente la stagionatura avveniva legando due forme di formaggio con una corda da posizionare “a cavallo”, appunto, di un ramo o trave orizzontale. Altri studiosi, invece, ritengono più plausibile che durante il Regno di Napoli le forme di questo formaggio venissero “certificate” con un marchio a forma di cavallo per questioni di gabelle; ancora, c’è chi ha collegato il nome alla materia prima, ipotizzando una produzione con latte di cavalla da parte di popolazioni nomadi che, non avendo bestie da allevare, consumavano il latte dei loro animali da soma.
In realtà, la storia del caciocavallo è molto più antica e affonda le radici nella Magna Grecia: già nel 500 a.C. Ippocrate sottolineava “l’abilità dei Greci nel fare il formaggio”, con riferimento probabilmente a una versione arcaica del Caciocavallo Silano DOP, e nel De re rustica, uno dei più rilevanti trattati di agricoltura della storia (35–45 d.C.), si descrive il processo produttivo per ottenere questa specialità.
Come detto, il caciocavallo è prodotto ancora oggi in varie regioni d’Italia, e in particolare è diffuso in Calabria (dove la specialità più tipica si chiama caciocavallo Silano), Molise, Basilicata, Puglia (patria del Caciocavallo Podolico del Gargano, prodotto con latte vaccino di mucca podolica, diventato un prodotto Slow Food) e Campania, ma anche in Sicilia (il Ragusano DOP è praticamente una tipologia di caciocavallo).
Ci sono diversi modi per mangiare questo straordinario formaggio, che è molto versatile e può essere abbinato a una vasta gamma di piatti: è perfetto per insaporire insalate (aggiungendone tocchetti freschi), pasta (come formaggio grattugiato in cima), antipasti (su un tagliere in buona compagnia di salumi italiani, olive e un buon vino rosso corposo) o per mantecare un risotto (da aggiungere a fine cottura).
Che cos’è il caciocavallo impiccato
Ma il caciocavallo si mangia anche in un modo a dir poco teatrale e scenografico, prendendo il nome di caciocavallo impiccato: secondo questo rituale, una forma di questo formaggio viene per l’appunto appesa a una trave alta che sovrasta una fiamma viva. Il caldo fa lentamente sciogliere la pasta filata, che cola su fette di pane casereccio appositamente preparate, che possono essere consumate tal quale oppure arricchite ancora con altri ingredienti.
Anche in questo caso ci sono varie teorie sulla nascita della tecnica dell’impiccagione: i fautori della versione “storica” ritengono che l’usanza sia nata in ambiente pastorale, forse anche in modo casuale. I pastori che portavano il bestiame al pascolo sulla via della transumanza avrebbero avuto l’abitudine di appendere i caciocavalli ai rami degli alberi per tenerli lontani dagli animali: una notte, però, il fuoco fu acceso troppo vicino al formaggio, facendolo sciogliere ma “regalando” una scoperta tanto fortuita quanto fortunata, poi tramandata oralmente come un segreto da custodire.
Ben più “realistica” un’altra tesi, che invece ci porta a pochi decenni fa, agli inizi degli anni Duemila, periodo di grande fermento per le sagre popolari: in Irpinia, in particolare, era frequente proporre fette di caciocavallo grigliato, ma la tecnica classica faceva disperdere troppa materia prima, che finiva sostanzialmente sul fuoco e diventava inutilizzabile. Per ovviare al problema fu inventata la tecnica dell’impiccagione, che iniziò a stupire il pubblico e a conquistarne occhi e palato.
Sarebbe quindi per questo motivo che l’impiccagione del caciocavallo si è “spostata” dall’Irpinia alle zone confinanti di Basilicata, provincia foggiana e Murge, diventando poi una modalità (e una pietanza) immancabile in sagre tradizionali o anche in aperitivi rustici.
Come preparare e gustare il caciocavallo impiccato
Fare il caciocavallo impiccato per condire le bruschette di pane e impreziosire un aperitivo o un antipasto domestico non è difficile: dobbiamo solo preparare una griglia/barbecue (e quindi, preferibilmente, avere disponibilità di spazio all’aria aperta) e posizionare il formaggio a circa 10 centimetri dal fuoco, senza mai lasciarlo toccare la griglia perché si sporcherebbe.
Il calore inizierà a sciogliere la crosta e far fondere il formaggio, e a questo punto noi posizioneremo sulla griglia una fetta di pane sufficientemente “capiente” da accogliere la quantità desiderata di pasta filata, che possiamo “guidare” usando la parte liscia del coltello. Quando saremo soddisfatti della farcitura, passeremo alla fetta successiva e così via. Fattore importante, il caciocavallo va progressivamente abbassato mentre si consuma e fonde, così da mantenere sempre la stessa distanza dal fuoco e permettere che l’impiccagione fili via regolarmente e golosamente.
Ultima annotazione: secondo gli esperti, per un risultato ottimale dobbiamo “impiccare” un formaggio giovane, perché un caciocavallo stagionato sarebbe troppo salato e sapido.