Foraging: conoscere, raccogliere e cucinare cibo selvatico

Il termine inglese indicava inizialmente il foraggiamento (specificamente in ambito animale), ma negli ultimi anni l’espressione foraging ha esteso il suo significato e oggi fa riferimento all’attività di ricerca e raccolta di cibo selvatico e spontaneo per uso alimentare umano. Scopriamo qualcosa in più su questa pratica, sul suo significato e sul suo legame forte con la natura.

Che cos’è il foraging

Partiamo proprio dalla definizione odierna: foraging è la pratica di conoscere, raccogliere e cucinare cibo selvatico e spontaneo dal suo ambiente naturale, ovvero in boschi di montagna, foreste, prati, campi, ma anche acque dei laghi, argini dei fiumi e lagune.

Non bisogna però pensare semplicemente ad erbe, perché il foraging consiste nell’utilizzo di tanti ingredienti come bacche, frutti, foglie, radici e cortecce commestibili, muschi, licheni, alghe e piante acquatiche, compresi poi alimenti di origine animale, come carne e pesce, e quindi non è esclusivamente una cucina vegetariana.

Per certi versi, questa attività è affine alla alimurgia, la scienza che studia l’impiego delle piante selvatiche non velenose e commestibili in momenti di carestia o per scopi salutistici.

Le caratteristiche del foraging

Questa attività di andar per erbe è affascinante e utile e si basa su alcuni solidi principi: innanzitutto, in questa ricerca è fondamentale non danneggiare la natura, perché il foraging si basa proprio sul rispetto del verde e del territorio che “dona” gli alimenti, in aperto contrasto con l’industrializzazione.

In un periodo in cui il gusto è diretto proprio dalle grandi industrie, questa pratica cerca invece di farci tornare a un passato neppure troppo remoto, restituirci il senso della scoperta gastronomica, rinsaldare il nostro legame con gli elementi e l’ambiente della natura grazie alla ricerca di erbe selvatiche commestibili, frutti e cibi spontanei esattamente dove questi stessi nascono.

Questi ingredienti sono un’importante risorsa alimentare e culturale a impatto quasi nullo sul pianeta, e quindi il foraging stesso si impone come attività improntata a una sostenibilità vera, che rinsalda l’identità culturale dei luoghi e dei tempi passati e presenti, che individua le specificità degli ecosistemi e l’importanza della biodiversità.

L’insegnamento basilare di questa filosofia è che si può ancora usare l’ambiente nel rispetto più totale, conoscendolo meglio e toccando con mano le sue necessità; ovviamente, serve anche molta cautela, perché la natura può celare anche insidie incommestibili, spore e sostanze velenose che bisogna adeguatamente riconoscere ed evitare nell’esplorazione.

La storia del foraging

Foraging è solo il nome moderno dato a una pratica vecchia di millenni e legata spesso alla sopravvivenza in momenti di difficoltà: raccogliere erbe e alimenti spontanei è nella natura umana e, almeno fino all’industrializzazione di fine Ottocento, il pasto quotidiano nelle campagne era composto quasi esclusivamente di prodotti selvatici, perché quelli coltivati erano destinati alla vendita e ci si nutriva solo di ciò che non aveva valore commerciale, come ad esempio le castagne nel Nord della Lombardia.

Nell’ultimo decennio, questa pratica è diventata di tendenza grazie al celeberrimo chef Rene Redzepi, leader del Noma di Copenaghen che più volte è stato in vetta alla classifica della 50 Best Restaurants, poi imitato da tutta la New Nordic Cuisine. Ma anche in altri parti d’Europa e del mondo è partita la riscoperta di tradizioni centenarie, e i professionisti della cucina che raccolgono personalmente specie selvatiche commestibili sono in aumento e ci spingono a riflettere sulla biodiversità alimentare e sui suoi vantaggi.

Un esempio tutto italiano è Norbert Niederkofler, tre stelle Michelin al St. Hubertus, che nella sua cucina impiega nel corso dell’anno circa 500 varietà di ortaggi, funghi ed erbe spontanee e, più in generale, ha dato vita al progetto Cook The Mountain, che esalta il legame indissolubile fra umanità e natura e rimette al centro l’antica sapienza artigianale in chiave moderna.

I vantaggi del foraging

Oltre a essere un’attività salutare dal punto di vista fisico – anzi richiede un minimo di preparazione sportiva in ambito outdoor – e di relax, il foraging ci permette di avvinarci a un’alimentazione sana e molto nutriente.

I vegetali selvatici sono infatti ricchi di ingredienti attivi e molto stimolanti dal punto di visto organolettico, e integrare nella nostra dieta questi cibi naturali, raccolti nel rispetto delle regole di tutela ambientale, significa contribuire a ridurre l’impatto sul pianeta.

Che cosa si può raccogliere e mangiare

Oltre ai più comuni vegetali spontanei, molti dei quali si trovano anche nelle nostre campagne e fanno parte della storica misticanza, il foraging invita a esplorare gli altri prodotti offerti dalla natura, allontanandosi dall’agricoltura “normale”.

Ad esempio, si può imparare a mangiare dagli alberi, sfruttando la corteccia interna, le foglie, la linfa, le resine degli alberi grandi di cui siamo circondati, come il tiglio, la betulla, l’abete rosso, il faggio, che hanno un sapore sorprendentemente buono.

Molto gettonati anche i fiori spontanei – non le versioni coltivate che si trovano nei menu di ristoranti o nelle vaschette al supermercato insieme all’insalata già lavata – che, rispetto agli altri fiori eduli, hanno un gusto più consistente e non servono solo per dar colore al piatto. Ne sono esempio i fiori di acacia, ma anche le semplici margheritine, o la pratolina intera da raccogliere quando è ancora un bocciolo e usare in una frittatina o mettendola sotto sale o sott’olio.

Altri ingredienti che si possono trovare col foraging sono la piantaggine, erba spontanea dalle foglie lunghe e verde intenso, che culmina con fiori simili a spighe ed è ricca di flavonoidi e sali minerali (si usano le foglie più tenere come ripieno delle torte salate oppure in insalata) e il lampascione, una sorta di cipollotto selvatico ricco di sostanze nutritive quali potassio, fosforo, calcio, ferro, manganese (e alimento tipico della cucina pugliese, ottimo sott’olio, fritto, all’interno di una frittata e al forno con le patate).

Le regole del foraging

Il forager – colui che pratica il foraging – deve fare attenzione a una serie di leggi e comportamenti che mirano innanzitutto a preservare l’ambiente, perché deve essere sempre in armonia con l’ecosistema e l’habitat in cui si muove. Questa attività non si può quindi improvvisare, perché serve una giusta dose di studio, esperienza in orienteering e forte rispetto della natura, soprattutto quando si cammina in ambienti incontaminati.

Questi sono alcuni dei principali suggerimenti che si possono dare a chi intende approcciare al foraging:

  • Imparare a identificare correttamente le piante, le erbe e tutto ciò che si raccoglie. Non basta solo l’approccio teorico, ma è più utile imparare osservando chi è già esperto, che potrà guidare a evitare rischi con le piante velenose e insegnare i modi in cui i principi attivi delle piante possono interagire con l’organismo.
  • Fare foraging in zone incontaminate e non inquinate.
  • Non raccogliere in riserve naturali e non lasciare in giro rifiuti.
  • Rispettare le piante come parte di un ecosistema più ampio e complesso: non bisogna estirpare i vegetali, ma lasciare l’ecosistema quanto più possibile intatto.
  • Correlato al punto precedente, non bisogna essere avidi e raccogliere quantità eccessive di alimenti, ma ricordare sempre di lasciar tempo alle piante di crescere e garantire una salutare esistenza dell’ecosistema nel suo complesso.
  • Raccogliere le piante selvatiche commestibili quando sono organoletticamente al picco di sapore e aroma, senza essere frettolosi.
  • Usare semplicità e misura anche in cucina, studiando gli abbinamenti tra gli ingredienti e non cercando l’effetto wow a tutti i costi.
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