E’ arrivata la notizia che in tanti aspettavamo: l’Arte del Pizzaiuolo Napoletano è Patrimonio Culturale dell’Umanità!
Come avrete già sentito, il comitato di governo dell’UNESCO si è riunito in Corea del Sud (sull’isola di Jeju per la precisione) e con voto unanime ha riconosciuto la creatività alimentare della comunità napoletana come unica al mondo.
Dopo l’Opera dei Pupi (iscritta nel 2008), il Canto a Tenore (2008), la Dieta Mediterranea (2010) l’Arte del Violino a Cremona (2012), le Macchine a Spalla per la Processione (2013) e la Vite ad Alberello di Pantelleria (2014), anche l’Arte del Pizzaiuolo Napoletano è stata dunque iscritta nella Lista del Patrimonio Immateriale dell’UNESCO.
Tutto era partito nel 2009 quando il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, assieme all’Associazione Pizzaiuoli Napoletani e la Regione Campania, aveva pensato a questa candidatura.
Non dovrebbe risultare molto difficile immaginare l’emozione e la felicità dopo la proclamazione!
Nella stessa sala in cui c’è stato l’annuncio, spontaneamente è partito subito un grande applauso (interminabile) e diversi delegati hanno abbracciato i rappresentanti italiani. Chissà se hanno contribuito al premio i corni portafortuna che molte persone, come da tradizione, hanno stretto tra le loro mani.
Ovviamente si scherza, la pizza è una vera e propria arte ed è amata praticamente da tutti. In America, ed esempio, ogni persona ne consuma circa 13 kg all’anno, in Spagna 4,3 kg, in Germania e Francia 4,2 kg, in Gran Bretagna 4 kg, in Belgio 3,8 kg, in Portogallo 3,6 kg e in Austria 3,3 kg. Noi italiani invece siamo al 2° posto con 7,6 kg all’anno!
Il clou dei festeggiamenti non poteva non essere a Napoli, nell’Antica Pizzeria Brandi. La leggenda dice che proprio in questo posto fu fatto chiamare, nel 1889, il pizzaiolo Raffaele Esposito per andare al Palazzo di Capodimonte a cucinare per la Regina Margherita. E’ in quell’occasione che nacque una pizza semplice, farcita con pomodoro, mozzarella e basilico (i colori della bandiera italiana), alla quale venne dato il nome di Sua Maestà, Margherita. I festeggiamenti comunque ci sono stati e continueranno anche nelle altre pizzerie.
Non poteva che esserne orgoglioso anche il Sindaco della città, Luigi De Magistris, che ha detto a riguardo: “La pizza di Napoli, l’arte del pizzaiuolo napoletano finalmente bene immateriale del patrimonio dell’umanità UNESCO. Un riconoscimento storico: grazie ai pizzaioli napoletani, che vivono ed operano a Napoli e in tutto il mondo, grazie a tutti quelli che hanno firmato per questa petizione. E’ il segno della potenza di Napoli attraverso la sua arte, la sua cultura, le sue tradizioni, le sue radici, la sua creatività, la sua fantasia. Una grande vittoria per Napoli e per la pizza napoletana”.
La petizione
La petizione di cui parla era stata voluta dal politico ed avvocato Alfonso Pecoraro Scanio e sostenuta soprattutto dalla Coldiretti, da cui è arrivato il maggior numero di adesioni, Associazione Pizzaiuoli Napoletani, Associazione Verace Pizza Napoletana, Rossopomodoro, Mulino Caputo, Napoli Pizza Village, Eccellenze Campane, CNA, UNAPROL, Confesercenti, Fondazione Campagna Amica (con la sua rete dei Mercati), Federazione Italiana Cuochi, Euro-Toques, La Fiammante, CIAO, Fratelli la Bufala, Latticini Orchidea, Salvatore Cuomo (pioniere della pizza napoletana in Asia), Corporazione Pizzaioli di Tramonti e tantissimi altre pizzerie ancora.
Una dura raccolta che è partita dal Napoli Pizza Village 2014 e che è proseguita con le iniziative dell’ONU di New York, all’UNESCO di Parigi, alle Olimpiadi 2016 di Rio de Janeiro fino alla prima e alla seconda Settimana della Cucina italiana nel mondo. E poi ancora la storica mobilitazione planetaria da Sidney a San Paolo, dal Canada all’Argentina, dal Giappone e dalla Corea al Qatar, da Taiwan all’Islanda.
Non possiamo che esserne davvero orgogliosi, tutti.