Non solo preghiere, nei conventi e nelle abbazie sono nate tante ricette uniche

Birre, champagne, liquori, formaggi e tanti, tanti dolci: sono numerosi i prodotti gastronomici d’eccellenza ideati da monaci, frati e suore nel corso dei secoli, inizialmente preparati solo al chiuso nei conventi ma poi diventati un vero e proprio bene di dominio pubblico. Andiamo a scoprire quali sono allora queste golosità inventate in monasteri e affini, che sono stati anche il luogo natale di altri prodotti alimentari consumati ancor oggi in tutto il mondo.

Prodotti dei monaci, una storia millenaria

Per secoli, soprattutto in Italia conventi e monasteri sono stati il caposaldo della cucina buona, sana e genuina: i monaci hanno perseguito l’arte della coltivazione e della trasformazione in piatti prelibati di ogni tipo di prodotto della terra, spesso anche sperimentando coltivazioni e accostamenti innovativi, e hanno trasmesso questo sapere sia attraverso manuali di cucina trascritti e codificati dagli amanuensi per i confratelli (e per le future generazioni), sia attraverso il passaparola con le popolazioni locali.

Anche se tecnicamente le comunità di religiosi erano chiuse (e seguivano la regola della subordinazione dei piaceri terreni alla ricerca della perfezione spirituale), in realtà le occasioni di incontro e scambio con gli abitanti vicini o con il personale laico che lavorava nelle strutture non erano così infrequenti, e spesso servivano per condividere ricette e ingredienti. Ad esempio, spesso i fedeli rifornivano i monasteri di animali allevati o di uova fresche di gallina, mentre invece le erbe, le preziose spezie e gli ortaggi erano coltivati direttamente da frati specializzati simil-erboristi, che collaboravano con i cellari (i responsabili della dispensa).

E quindi, anche se di base la cucina del convento è semplice, diretta e pratica (non c’è tempo di fare preparazioni troppo elaborate, ci sono tanti palati da saziare e c’è sempre la regola che impone un’alimentazione moderata e non troppo orientata al piacere che il cibo dona al corpo), era comunque più ricca di quella di contadini e popolani, che però prendevano nota di queste ricette e, nel tempo, le hanno portate fuori da queste mura.

I monasteri come primi laboratori di cucina e pasticceria

La cucina monastica è ancora oggi vivida e vivace – e basta dare uno sguardo alla programmazione televisiva, dove ci sono almeno due show dedicati alle ricette di monasteri e conventi, rispettivamente “Le ricette del convento” e “La cucina delle monache”, entrambi su Food Network – e non è azzardato dire che questi luoghi sacri sono stati i primi laboratori di cucina e pasticceria.

I religiosi, anche senza poter contare su strumentazioni professionali – niente abbattitori, mixer o impastatrici! – hanno infatti creato e diffuso tantissime preparazioni speciali, valorizzando gli ingredienti del territorio, gli ortaggi coltivati direttamente e anche prodotti altrimenti inaccessibili, come le spezie.

E così, nel corso dei secoli, i monasteri sono stati il luogo che ha visto nascere innanzitutto tantissimi tipi di birra (si pensi solo alle trappiste, prodotte dagli omonimi frati), di champagne (Dom Perignon su tutti), di zuppe e minestre, di secondi come i fegatelli di maiale. Ma fondamentale è stata questa sapienza anche per la creazione di formaggi leggendari (si stima, ad esempio, che il 70% dei formaggi francesi abbia avuto origine nelle abbazie, come Munster, Tamié, Pont-L’Evêque, Bleu de Gex o Port Salut), al punto che lo stesso Parmigiano Reggiano, vanto d’Italia, si deve probabilmente ai benedettini di Parma e Reggio Emilia, impegnati sin dal XII secolo nella produzione di formaggi a pasta dura.

Infine, come non parlare dei dolci del convento? Peccati di gola come cannoli, frutta Martorana, sfogliatella Santa Rosa e, a quanto pare, la pastiera napoletana, sono tutti tipici esempi di prodotti dei monaci, ma l’elenco è davvero lunghissimo e appetitoso.

I più famosi dolci del convento

Restiamo proprio su questo tema così goloso e andiamo a scoprire quali sono i 10 dolci nati in convento che sono famosi ancora oggi in tutto il mondo.

Si tratta di specialità inventate dalle sapienti mani di monaci o, soprattutto, suore, inizialmente realizzate solo per onorare le festività religiose (molte sono infatti legate al Natale) e distribuite gratuitamente ai fedeli come gesto di cortesia, condivisione o risoluzione di possibili conflitti; successivamente, la produzione dolciaria diventò una fonte di sostentamento dei conventi, attraverso la vendita diretta dei prodotti, e a poco a poco le ricette iniziarono a circolare anche al di fuori delle mura monastiche, diventando un “bene pubblico“.

  1. Cannoli

Sono varie le ipotesi sulla creazione di questo dolce, uno dei più noti e amati in Italia e nel mondo, e nella maggior parte dei casi convergono sull’ideazione in ambito monastico. In particolare, a creare i primi cannoli sarebbero state le sorelle di clausura del Convento di Santa Maria di Monte Oliveto a Palermo oppure le suore di clausura di un convento nei pressi di Caltanissetta, partendo da un’antica ricetta romana poi elaborata dagli Arabi. Di sicuro, in origine i cannoli erano preparati per celebrare il Carnevale ed erano anche al centro di un innocente scherzo carnascialesco, sostituendo il classico tubo di acqua con un cannolo che faceva fuoruscire ricotta dolce.

  1. Minne di virgini

Il loro nome significa letteralmente “seno di vergini“, e in effetti la loro forma richiama vagamente la sinuosità di un seno femminile: le minne di virgini sono un dolce da forno in pasta frolla, ripieno di crema di latte, zuccata, scaglie di cioccolato e cannella. A creare la ricetta (citata anche nel Gattopardo) è stata suor Virginia Casale di Rocca Menna, del Collegio di Maria di Sambuca di Sicilia, che nel 1725 preparò le Minne in onore del matrimonio del Marchese don Pietro Beccadelli con donna Marianna Gravina.

  1. Frutta di Martorana

La storia della frutta Martorana ci dovrebbe essere già nota: questo goloso dolcetto, inizialmente preparato in autunno per la Festa dei Morti, è nato a Palermo nella chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, detta Martorana, per rimediare a una possibile “brutta figura” con un importante visitatore interessato ad ammirare di persona lo splendido e rigoglioso giardino del convento. Essendo però autunno inoltrato, gli alberi erano spogli e le suore aggirarono l’ostacolo preparando dei dolcetti assolutamente identici ai frutti, che appesi ai rami ingannavano la vista. Il sapore della frutta Martorana fu poi la chiave per convincere definitivamente l’ospite e per diffondere la nuova ricetta.

  1. Monachina napoletana

Dalla Sicilia alla Campania, il filo che lega i dolci conventuali ha una forte impronta meridionale e mediterranea. Lungo il Decumano Superiore di Napoli sorgeva un tempo il Monastero delle Trentatrè (così chiamato dal numero massimo di suore che poteva ospitare in contemporanea), che si ritiene essere stato luogo di origine della monachina, un dolce di pasta sfoglia con crema ripiena pasticcera e confettura di amarene, cantato anche dal poeta napoletano Salvatore di Giacomo.

  1. Sfogliatella Santa Rosa

La monachina è considerata anche l’antenata di un’altra preparazione monastica, che poi ha avuto una maggior sorte in termini di notorietà, perché è alla base della sfogliatella Santa Rosa (a loro volta antenate delle sfogliatelle napoletane). In questo caso, ci troviamo nell’antico monastero di Santa Rosa da Lima, in Costiera Amalfitana, dove un giorno una delle monache trovò una geniale soluzione a un potenziale guaio: ritrovatasi con avanzi di semola bagnata nel latte che non intendeva sprecare, pensò bene di creare un impasto aggiungendo ricotta, frutta secca e limoncello, che inserì in un contenitore di due sfoglie chiuse a forma di un cappuccio da monaco e poi cucinò al forno, ottenendo un prodotto prelibato.

  1. La Pastiera napoletana

Probabilmente la ricetta originaria è ancora più antica (e alcune leggende richiamano il mito di Partenope o il culto di Cerere), ma di sicuro a creare la pastiera moderna sono state le suore del convento di San Gregorio Armeno a Napoli, che studiarono un dolce per simboleggiare la resurrezione pasquale e l’arrivo della primavera. Oggi la pastiera ha allentato il suo legame esclusivo con la Pasqua e si può assaporare in ogni momento dell’anno, anche se da tradizione la sua preparazione impegna le famiglie nella giornata del Giovedì Santo.

  1. Divino Amore

Dalla Pasqua al Natale: anche uno dei dolcetti napoletani più tipici delle feste di fine anno è stato creato in un convento. Il Divino Amore è un pasticciotto di forma ovale, ripieno di mandorle, canditi misti, uova e confettura alle albicocche e classicamente ricoperto da una glassa di zucchero di colore rosa; a inventarlo sono state nel XIII secolo le monache di clausura dell’omonimo convento Divino Amore, che sorgeva nelle vicinanze di San Biagio dei Librai, probabilmente come omaggio a Beatrice di Provenza, madre del re Carlo II D’Angiò.

  1. Susamielli

I susamielli sono un’altra preparazione caratteristica del Natale a Napoli, proposti in tante varianti: si ricordano infatti i susamielli dei cerchienti, arricchiti con confettura e donati ai frati cerchienti, ovvero viandanti, e i susamielli degli zampognari, destinati appunto ai suonatori che rallegravano le festività. La versione ancora oggi diffusa era invece detta susamielli nobili, perché alle origini erano riservati esclusivamente ai nobili benefattori del Convento di Santa Maria della Sapienza. Le monache clarisse preparavano questi dolcetti (chiamati anche sapienze, come derivazione del nome del convento) con farina bianca, pisto e granella di mandorle, addolciti da sesamo e miele (dalla cui contrazione deriverebbe la parola susamiello).

  1. Roccocò

Anche il principe dei dolci natalizi partenopei è nato in un convento: per la precisione, si ritiene che la prima ricetta dei Roccocò risalga al 1320 e si debba alle monache del Real Convento della Maddalena (localizzato nella zona centrale di Napoli e oggi scomparso) che, da abili pasticcere, riunirono una serie di ingredienti diversi (farina, mandorle, miele, cedro, scorzetta d’arancia e il tipico pisto napoletano) modellando l’impasto a forma di ciambella o, per meglio dire, “rocaille”, termine francese per dire grotta o conchiglia, della forma frastagliata del dolce, da cui poi è giunta a noi la parola Roccocò.

  1. Pasteis de nata

Per l’ultimo riferimento facciamo un rapido viaggio in Portogallo e, per la precisione, in una freguesia della capitale Lisbona: il più famoso dolce portoghese si chiama Pastel de nata ed è stato prodotto dai monaci del Monastero dos Jerónimos a Belém, motivo per cui è noto anche come pastel de Belém. Anzi: la ricetta originale di questo pasticcino di pasta sfoglia ripieno con crema a base di uova, panna e zucchero è segreta ancora oggi, conosciuta solo dai pasticceri della Fábrica dos Pastéis de Belém, che ha ereditato la tradizione conventuale e sorge proprio accanto al Monastero.

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