Non bastavano i rincari a luce, gas e carburante: le ultime settimane ci stanno mettendo di fronte anche all’aumento dei prezzi di pasta e pane, che diventano più cari a causa dell’incremento del costo originario della farina. Proviamo a far luce su tutto ciò che sta succedendo e a capire perché rischiamo di festeggiare un Natale salato, e non in senso positivo.
Pasta e pane più cari
Lo scorso anno ne lamentavamo la disponibilità nei supermercati, mentre in queste settimane dobbiamo fare i conti con le difficoltà per il portafogli: pasta e pane sono tra gli alimenti più acquistato in Italia, ma ultimamente sembrano essere anche particolarmente problematici, per così dire.
Stando alle rilevazioni di Federconsumatori, in poco più di sei mesi (per la precisione, da marzo a ottobre 2021) il prezzo di alcuni prodotti è salito alle stelle, portando a un altro livello l’espressione oro bianco che si utilizza per la farina. Proprio la farina, ad esempio, ha visto aumentare del 38% il suo costo al chilo, sfondando la soglia dell’euro pieno e passando da 0,79 a 1,09 euro; i formati di pasta penne e spaghetti ora costano 1,72 euro al chilo (aumento del 5% circa), la pasta integrale ha raggiunto i 2,90 euro (più 33%), il prezzo del pane tocca i 3,86 euro al chilo (incremento dell’11%).
I rincari interessano anche altri generi alimentari legati a un’origine cerealicola: il pane in cassetta ora costa 1,59 euro (contro il prezzo di 1,2 euro di marzo), i tramezzini 2,69 euro (da 2,5 euro), i crackers light 2,39 euro (da 2,35), e la pizza Margherita e la pizza 4 Stagioni aumentano entrambe di 50 centesimi (arrivando rispettivamente a un prezzo di 7,5 e 9,5 euro).
Analisi sul rincaro delle materie prime
Tutta colpa della farina, ma non solo: se è vero che il prezzo di grano e frumento, necessari alla panificazione anche in chiave dolciaria, è salito in pochi mesi fino al 30% in più, ci sono anche altri fattori che influiscono su questi rincari.
L’Osservatorio nazionale di Federconsumatori ha lanciato l’allarme studiando le variazioni dei prezzi di alcuni prodotti alimentari tra marzo di quest’anno (“periodo in cui già si registravano alcune tensioni sui costi delle materie prime”) e le scorse settimane, segnalando che emergono rincari medi del 15%, che “superano la soglia del 30% nel caso della farina, del pane in cassetta e della pasta integrale”.
Sul fenomeno è intervenuto anche il presidente nazionale di Fiesa Assopanificatori Confesercenti, Davide Trombini, che parla di “trend preoccupante” e cita alcuni dati interessanti sui rincari delle materie prime. In particolare, dice Trombini, a settembre 2021 “il prezzo delle farine di frumento tenero segna un incremento del 20% rispetto a settembre 2020; il prezzo delle semole di frumento duro cresce in un anno del 66%”; ancora più evidenti gli incrementi di costo “se mettiamo a confronto il prezzo della prima settimana di ottobre 2021 con quello di ottobre 2020”, perché “le farine di frumento tenero arrivano a 511,50 euro a tonnellata, ossia +24%, e le semole di frumento duro a 731,70 a tonnellata ossia +81%”
Perché aumentano i prezzi di pane e pasta
Molto interessanti per approfondire la tematica sono i dati Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare), che certifica i rincari registrati per i prezzi di frumento tenero e grano – che hanno costretto i panificatori ad adeguare i loro prezzi per non andare in perdita.
In particolare, il grano duro, dal quale si ricava la farina da pasta, ha subito un incremento dei prezzi all’origine del 71% tra settembre 2020 e il settembre 2021; è cresciuto invece del 35% su base annua (tra settembre 2020 e settembre 2021) e ulteriormente del 10% su base mensile (tra agosto e settembre di quest’anno) il costo del frumento tenero, che è quello che poi viene trasformato in farina per prodotti da forno e industria dolciaria, mentre un’altra materia prima agricola come l’avena è aumentata del 79%.
A far lievitare questi prezzi è un insieme di cause, tra cui l’Ismea cita in modo specifico l’aumento dei “costi per il trasporto e soprattutto dei noli dei container”, dovuto alla pandemia e una lieve contrazione delle scorte, e le dinamiche geo-economiche, come il calo dei raccolti in Ucraina insieme “al fatto che la Russia abbia ridotto le esportazioni per contenere il prezzo all’interno dei propri confini”, o la siccità che ha interessato il Canada, che ha ridotto molto i raccolti e quindi le esportazioni. Il grano 100% italiano, infatti, riesce a soddisfare solo il 36% della domanda interna.
Gli altri fattori che incidono sul prezzo dei prodotti alimentari
A questo scenario c’è da aggiungere un’altra considerazione laterale, che arriva dalle analisi di Coldiretti condotte sulla base dei contratti future nei listini del Chicago Bord of Trade (Cbot), punto di riferimento internazionale per il mercato future delle materie prime agricole.
L’associazione fa il punto, infatti, sul notevole incremento del costo tra materia prima e lavorazione, e in particolare mette in evidenza che “dal grano al pane il prezzo aumenta di dodici volte“: per la precisione, in Italia un chilo di grano tenero in Italia è venduto a circa 32 centesimi, mentre un chilo di pane “è acquistato dai cittadini a un valore medio di 3,2 euro con un rincaro quindi di dodici volte, tenuto conto che per fare un kg di pane occorre circa un kg di grano, dal quale si ottengono 800 grammi di farina da impastare con l’acqua per ottenere un chilo di prodotto finito”, scrivono da Coldiretti.
A far lievitare il prezzo finale (è proprio il caso di dire) sono costi di altra natura, “come dimostra anche l’estrema variabilità dei prezzi del pane lungo la penisola, mentre quelli del grano sono influenzati direttamente dalle quotazioni internazionali”. È per questo motivo che, secondo elaborazioni Coldiretti su dati dell’Osservatorio prezzi del ministero dello Sviluppo economico a settembre, a Milano una pagnotta da un chilo costa 4,25 euro, a Roma si viaggia sui 2,65 euro mentre a Palermo costa in media 3,07 euro al chilo.
Rincari in vista anche per panettone e pandoro
Oltre ai prodotti già citati, rischiamo di dover fare i conti anche con altri due prodotti più cari e proprio sotto Natale, ovvero panettone e pandoro.
A lanciare l’allarme è il Codacons, che parla di un possibile incremento del 10% per i prezzi di pandoro e panettone a causa dell’incremento dei prezzi delle materie prime, unite ai rincari dell’energia elettrica e di carburanti e a problemi di approvvigionamento. Nello specifico, solo lo zucchero grezzo potrebbe avere aumenti di prezzo del 30% da inizio anno, a causa di meteo e Covid, così come sono saliti i costi per farine, oli e burro, ma a fare la differenza in negativo sono anche aspetti legati al processo produttivo.
Ad esempio, i panificatori milanesi lamentano la difficoltà di reperire un ingrediente centrale come l’uvetta, ma anche e soprattutto un elemento pratico come la carta da forno, che è introvabile per la mancanza della cellulosa (che determina anche l’aumento del suo prezzo).