La plastica sta soffocando il nostro pianeta e l’inquinamento provocato dai prodotti in questo materiale è uno dei temi ambientali più pressanti degli ultimi anni, contro cui è necessario intervenire con azioni mirate e concrete. A livello europeo, dallo scorso luglio sono entrate in vigore le nuove norme che vietano la vendita di alcuni prodotti quotidiani in plastica monouso, ma la strada è ancora molto lunga.
Direttiva europea plastica monouso, che cos’è e cosa prevede
Come dicevamo, dallo scorso 3 luglio anche l’Italia ha ufficialmente recepito la cosiddetta direttiva SUP (Single Use Plastic), ovvero la direttiva UE 2019/904 che l’Unione europea ha voluto per cercare di ridurre il consumo di plastica monouso e arginare, così, la dispersione nell’ambiente e negli oceani di questo dannoso materiale.
Il testo si compone di 13 articoli e diversi allegati, e sin dall’articolo chiarisce che si pone l’obiettivo di individuare e introdurre misure concrete per raggiungere alcune finalità, tra cui appunto imporre uno stop alla plastica monouso, prevenire e ridurre l’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente, incentivare la transizione verso un’economia circolare, innovativa e sostenibile; sostenere l’impiego di plastica ecosostenibile o riciclata idonea al diretto contatto alimentare; sensibilizzare sul tema di un corretto smaltimento dei rifiuti in plastica.
Direttiva plastica monouso, le eccezioni previste in Italia
La legge italiana che recepisce la direttiva europea SUP è la 53/2021, che per certi versi attenua la portata del provvedimento comunitario. In linea di massima, l’intervento normativo non impatta sui prodotti in plastica monouso usa e getta più diffusi, e anche più difficili da sostituire con alternative ecologiche (come bottiglie per bevande, flaconi di detergenti e detersivi, scatolette o buste per i cibi), e prevede solo un “invito” a limitare il consumo di altri prodotti, come i bicchieri di plastica.
La direttiva (la cui emanazione risale al 2019) non copre neppure alcuni dei prodotti simbolo della pandemia, come mascherine e guanti monouso, che pure stanno creando problemi di massiccia dispersione nell’ambiente, e quindi il loro corretto smaltimento a fine vita resta affidato al nostro buon senso.
Inoltre, le norme non si applicano a rivestimenti in cui la plastica ha un peso inferiore al 10% del totale, né a prodotti in materiale biodegradabile e compostabile, realizzati secondo standard europei, in cui la materia prima rinnovabile ha una percentuale superiore al 40% del peso totale. Una scelta per certi versi “politica”, perché l’industria italiana è molto forte nella produzione di plastica biodegradabile e compostabile, e quindi si è cercato di non penalizzare ulteriormente la nostra economia.
L’Italia infatti è leader in Europa per l’industria della plastica, e le circa 300 aziende tricolore da solo detengono il 60% della produzione nel Vecchio Continente, con un fatturato annuo di 815 milioni di euro che questa direttiva ha messo a rischio. Per questo, il Governo ha anche previsto alcune misure di sostegno (come crediti d’imposta) per gli operatori del settore, oltre naturalmente a pesanti multe per coloro che non rispettano le norme (con multe fino a 10.000 euro).
Divieto plastica monouso, i prodotti interessati
Venendo più in dettaglio all’analisi dei comuni oggetti di plastica monouso attenzionati dalla direttiva (perché tra quelli che più frequentemente si ritrovano sulle spiagge e sui fondali), troviamo alcuni prodotti interessati da un divieto assoluto, da una riduzione o da una regolamentazione dei consumi.
Per la precisione, da luglio è entrato il vigore il divieto di vendere bastoncini cotonati, palloncini e aste per palloncini, contenitori per il cibo, cannucce, posate, bicchieri e piatti di plastica realizzati con la tradizionale materia prima.
Dobbiamo quindi dire addio ai classici piatti e bicchieri di plastica, ma anche a imballaggi in cartone poliaccoppiato e in carta per l’asporto o il consumo di cibo: per essere a norma con la legge, i produttori dovranno sostituire i contenitori monouso per cibo o bevande fatti del tutto o in parte di plastica con alternative riutilizzabili o con soluzioni di materiale non plastico.
Monouso plastica, cosa cambia per i prodotti più comuni
C’è una novità anche per le bottiglie di plastica: a partire dal 2024, quelle fino a 3 litri di volume potranno essere commercializzate solo se il loro tappo (sempre di plastica) rimane attaccato al collo della bottiglie dopo l’apertura. Le bottiglie per bevande in PET, invece, dovranno essere composte almeno per il 25% da PET riciclato entro il 2025 e almeno dal 30% a partire dal 2030.
La riduzione della plastica monouso e della sua dispersione nell’ambiente passa anche attraverso l’invito a ridurre il consumo di prodotti quali filtri di sigarette, buste di plastica, bustine di snack e salviette umidificate e articoli per l’igiene femminile (come assorbenti, tamponi igienici e applicatori per tamponi), che dovranno riportare obbligatoriamente in etichetta una specifica marcatura che ne evidenzia il contenuto di plastica e segnala le conseguenze della dispersione non corretta di questi prodotti nell’ambiente.
Stop plastica monouso, inquadriamo il problema ambientale
Il problema dei rifiuti in plastica e dell’inquinamento da plastica non è un tema recente – anzi è presente nell’agenda delle Nazioni Unite già dal 2012, come ricorda un’interessante approfondimento di National Geographic – e chiama in causa un cambiamento radicale in termini di produzione, utilizzo e smaltimento della plastica.
Alcuni numeri e considerazioni ci possono far capire meglio la drammaticità della situazione:
- Il 40% della plastica prodotta oggi è di tipo monouso, e spesso si tratta di prodotti dal tempo di utilizzo ridottissimo, come imballaggi, confezioni per cibo d’asporto, bottiglie e altri prodotti che, dopo aver esaurito il proprio “compito”, finiscono in mare o nell’ambiente.
- A fronte del crescente numero di aziende plastic free, ci sono 20 grandi aziende che producono oltre il 50% degli imballaggi di plastica monouso presenti al mondo.
- La percentuale di plastica riciclata è in costante aumento, ma è ancora una porzione esigua rispetto a quella prodotta.
- Spesso le plastiche contengono additivi che per renderle più resistenti, flessibili e durevoli; queste sostanze, però, possono aumentare i tempi per la degradazione dopo lo smaltimento, e si stima che alcuni oggetti necessitino di almeno 400 anni prima di degradarsi.
- La produzione di oggetti in plastica usa e getta sta sopraffacendo la capacità di gestirla a livello globale, e ciò si fa sentire soprattutto nelle nazioni in via di sviluppo dell’Asia e dell’Africa, dove i sistemi di raccolta dei rifiuti sono spesso inefficienti o inesistenti.
- L’inquinamento da plastica sta soffocando il pianeta e raggiunge ormai anche i luoghi dove la presenza umana è minima, come gli oceani.
- Ogni anno, circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica finiscono dalle nazioni costiere negli oceani. Per fare una similitudine, equivale a gettare cinque buste di immondizia ogni 30 centimetri di costa in tutto il mondo.
- Ogni anno milioni di animali restano uccisi a causa delle plastiche: non solo uccelli, pesci e altri organismi marini, ma anche animali che popolano la terraferma come elefanti, iene, zebre, tigri, cammelli, bovini e altre grandi specie.
- Metà di tutta la plastica prodotta è stata realizzata solo negli ultimi 15 anni, e la produzione attuale dovrebbe raddoppiare dal 2050, secondo le previsioni.
- Negli anni Cinquanta si producevano 2,3 milioni di tonnellate di plastica, mentre nel 2018 siamo saliti a 465 milioni di tonnellate: secondo alcune stime, 7 degli 8,8 miliardi di tonnellate globalmente prodotte durante l’intero periodo sono diventati rifiuti.
Guardando al futuro, uno studio stima che nel prossimo decennio ci saranno dai 22 ai 58 milioni di tonnellate all’anno di rifiuti in plastica che nelle vie d’acqua, e che finiscono poi negli oceani. Si tratta di una previsione addirittura “ottimistica”, perché tiene conto delle migliaia di impegni ambiziosi da parte di governi e industrie mondiali per ridurre l’inquinamento da plastica. In caso contrario, infatti, la quota sarebbe quanto meno doppia: senza miglioramenti nella gestione dei rifiuti, almeno 99 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica non controllati potrebbero finire nell’ambiente entro il 2030.
E quindi, la riduzione del fenomeno dell’inquinamento da plastica monouso può essere raggiunto solo con un giro di vite generale, che chiama in causa governi e produttori – che devono migliorare i sistemi di gestione dei rifiuti e di riciclaggio e ridurre la produzione di plastica monouso di cui si potrebbe fare a meno – ma anche di noi consumatori.
Alternative plastica monouso, quali sono
In tal senso, un primo cambiamento che possiamo attuare è scegliere i sostituti della plastica, che possono essere valida alternativa, sia in termini di plastica ecosostenibile che di nuovi materiali.
Concentrandoci sulla plastica alimentare, ad esempio, sappiamo che da tempo è in atto un trend “ecologico” che spinge all’utilizzo di borracce al posto delle classiche bottiglie in plastica, così come sono sempre più diffuse le nuove stoviglie monouso a base di polpa di cellulosa, più simili alla carta e al cartone che alla vecchia plastica dura. Queste posate biodegradabili non solo vengono ricavate da materiali green, ma hanno anche un processo produttivo meno invasivo sull’ambiente, e ad esempio riducono la quota di energia necessaria.
E se, a seguito della direttiva europea “antiplastica”, le vecchie cannucce in plastica per alimenti non possono più essere vendute, possiamo trovare una efficace alternativa nelle cannucce commestibili o nelle pratiche cannucce ecosostenibili, in vendita ormai anche nei supermercati, così come è facile trovare i nuovi bastoncini per l’igiene personale.
C’è però un allarme rispetto ai nuovi prodotti monouso ecologici, lanciato da AltroConsumo, che ha scoperto che alcuni di questi prodotti che stanno sostituendo la plastica per alimenti (ad esempio nelle mense scolastiche o nella ristorazione d’asporto) come piatti o cannucce di carta si trovano sostanze chimiche indesiderabili, che potrebbero migrare nel cibo. Si tratta, in particolare, di sostanze perfluoroalchiliche Pfas, che non si degradano mai e rappresentano un pericolo per l’inquinamento ambientale, oltre a rappresentare un pericolo per la salute, ma anche di alluminio e altre sostanze tossiche.